Domenica 6 giugno, 90 milioni di messicane e messicani eleggeranno 20435 candidati, tra questi/e 15 governatori/trici statali, i/le 500 deputati/e della camera, sindaci, sindache e consiglieri comunali, e statali.

La giornata elettorale sarà la più grande, per dimensioni, e anche la più costosa della storia, tanto che per realizzarla sono stati stanziati non meno di 9mila 467 milioni di pesos (390 milioni di euro circa). Proprio per questo la narrativa e le aspettative sono enormi nel paese, anche se una parte la pensa diversamente. Luis Villoro, scrittore e giornalista, in un suo articolo per Reforma, scrive «il Messico si prepara ad assistere alle elezioni più ridicole della sua storia. A giugno potremo votare per una serie celebrità di seconda classe del calcio, della lotta libera o dei concorsi di bellezza, o in alternativa per individui accusati di stupro o narcotraffico». La campagna elettorale è stato segnata dal sangue, oltre 60 tra candidati e candidate hanno perso la vita, per mano altrui, durante questi mesi, e sono stati oltre 140 gli atti violenti che hanno colpito uomini e donne che hanno deciso di rincorrere l’elezione. La violenza, sempre più strutturale in Messico, in questa campagna elettorale ci dice con forza che il paese è tutto fuorchè uno stato fallito e che i ruoli e le rappresentanze politiche hanno un peso, determinante, nella perimetrazione del potere territoriale.

Il potere politico è uno dei vertici che unito a economie legali, illegali, e forze armata tratteggia l’informe figura del potere che governa i territori e gli scontri per il suo controllo. L’osservato speciale è Lopez Obrador, il presidente. Morena, il partito da lui fondato, e la coalizione a sostengo di AMLO, hanno il controllo della camera dei deputati.

I sondaggi, complessi da realizzare per l’ampiezza del voto, sono discordanti: alcuni dicono che la maggioranza del secondo ramo del parlamento resterà nelle mani dei partiti filo governativi, altri dicono il contrario. Morena è dato come primo partito in tutte le inchieste. Per quanto riguarda i governatori statali le opposizioni rischiano una nuova sconfitta: Morena è data favorita in 12 dei 15 stati pur governando solo 2 degli stati in gioco.

Il grande capitale, nonostante Lopez Obrador non si sia distinto (secondo movimenti sociali, ambientali e indigenisti, così come per l’EZLN e varie sinistre) per scelte radicali, si sta muovendo, con forza contro il presidente. L’Economist – Latino America – mette AMLO in copertina e l’immagine è accompagnata dal titolo «Il falso messia messicano». Il tweet con cui viene presentata la prima pagina recita «Il presidente del Messico persegue politiche rovinose con mezzi impropri».

La copertina, in America Latina, di questa settimana sostiene che AMLO è un pericolo per la democrazia. Secondo il giornalista di Proceso, Arturo Rodriguez, «da una parte c’è il partito di governo, governo che vorrebbe mantenere la maggioranza qualifica al congresso e ad ogni costo vorrebbe uscire vincente dalla tornata elettorale così da dare continuità e forza al progetto presidenziale (tanto da considerare lecita l’indebita intromissione di AMLO e continuare una discorsiva squalifica dell’Istituto Nazionale Elettorale). Dall’altra c’è un opposizione che vorrebbe avanzare il più possibile e provare a cancellare la sconfitta del 2018. Serve ricordare che i tre partiti che fino al 2018 hanno avuto un ruolo importante nel paese (PRI, PAN, PRD ndr) hanno dovuto costruire alleanze politiche, sostenute dai settori industriali e finanziari, per provare ad essere competitivi».