Il parlamento europeo ha votato ieri con 395 voti a favore una risoluzione che accoglie la proposta della Commissione Europea del «fondo per la ripresa» garantito dal bilancio Ue e il pacchetto dei tre pilastri votato il 7 aprile scorso dai ministri economici dell’Eurogruppo: 200 miliardi di euro dalla Banca europea degli investimenti (Bei), 100 del piano «Sure» a sostegno delle casse integrazioni. È stato chiesto un rafforzamento del Meccanismo europeo di Stabilità (Mes, Fondo Salva Stati) alleggerito dalle condizionalità solo per spese sanitarie dirette e indirette: non più i 240 miliardi previsti, ma l’intero patrimonio da 410 miliardi. L’assise ha votato con 689 voti la piena flessibilità nell’uso dei fondi strutturali europei per sostenere i costi dell’emergenza indotti dal coronavirus e la modifica del fondo agli indigenti per finanziare la fornitura di dispositivi di protezione per i lavoratori e i volontari.

IL VOTO SULLA RISOLUZIONE, ma soprattutto sugli emendamenti, è stata l’occasione per mettere in scena un cortocircuito devastante. L’intera politica italiana è incantata davanti ai totem contrapposti del Mes e degli Eurobond e congelati nell’aut aut di Conte «No al Mes, sì agli Eurobond». Il primo, va ricordato, è stato votato dall’Eurogruppo, dunque anche dal governo italiano, e sarà presentato alla riunione del consiglio europeo dei capi di stato e di governo di giovedì 23 aprile. Gli Eurobond non sono mai stati in gioco, anche perché sono stati bocciati dalla cancelliera Merkel il 9 aprile. Ebbene, in sede di emendamenti, Pd Italia Viva e Cinque Stelle hanno votato in maniera opposta sul Mes, i primi due a favore e i secondi contro insieme a Lega e Fratelli d’Italia. I Cinque Stelle si sono astenuti anche sulla risoluzione parlamentare perché contempla il Mes, prevede l’aumento dei contributi nazionali per il bilancio Ue necessari per finanziare il «fondo per la ripresa». I grillini si sono divisi ma non parlano di una spaccatura interna su una risoluzione di Ppe, S&D, Renew Europe e Verdi. Tre parlamentari hanno votato contro, mentre 10 si sono astenuti, una deputata non ha partecipato al voto. Idee confuse a destra: la Lega ha votato contro gli eurobond, Fdi di Meloni si è schierato a favore. Entrambi hanno votato contro il Mes, ma i primi sono contrari anche al fondo per la ripresa, ma Fdi lo ha votato con Forza Italia. La sinistra della Gue/Ngl ha presentato un documento organico che prevede l’intervento della Bce, bond condivisi per la lotta al virus e per il green new deal, tassa del 25% del per multinazionali. Tutti hanno votato contro, tranne i Cinque Stelle.

QUESTO CAOS rende illeggibile in Italia il vero contenuto della discussione politica in Europa, incentrato sui tre pilastri Mes+Bei+Sure varati dall’Eurogruppo e sul fondo per la ripresa [Recovery Fund]. È dunque probabile che i governi voteranno sul pacchetto. Anche quello italiano. Ma restano ancora da definire le modalità dell’accordo sul fondo basato sull’emissione dei bond. Non si tratta di una «mutualizzazione dei debiti esistenti», evocata in maniera confusa nel dibattito italiano sugli «Eurobond-Coronabond». Lo stop definitivo a questa ipotesi è stato ottenuto dalla Germania e dai suoi satelliti nordici. Si parla invece di un prestito garantito dal bilancio Ue e di «una mutualizzazione rispetto al debito futuro che si produrrà nel piano di ricostruzione» dopo la crisi, ha detto il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli. In pratica, la proposta francese, accettata dalla Germania, e veicolata dalla stessa Commissione Ue.

QUESTO «FONDO per la ripresa» sarà la soluzione alla crisi? Non è detto. Rischia di essere una ripresa del non fortunato piano Juncker. Inoltre per arrivare a un totale di 1,5 trilioni euro (almeno 200 miliardi andrebbero all’Italia) il bilancio Ue dovrebbe crescere di almeno dieci volte in più rispetto a quello attuale. Non è nemmeno escluso che agli Stati sia richiesta uno sforzo di cofinanziamento. Prospettiva improbabile in questo momento, anche se la Commissione Ue lo esclude. La strada è lunga e tortuosa, com’è tradizione nell’Europa intergovernativa. Complicazioni che potrebbero rimpicciolire l’annuncio di Ursula Von Der Leyen sul «piano Marshall».

RISPETTO ALLA LINEA ufficiale del governo italiano – «No Mes, sì agli Eurobond» – l’esito del voto di ieri è un fallimento. Com’era prevedibile, nessuna di queste condizioni risponde al dibattito effettivo, e alla diplomazia economica reale in corso, sul «fondo della ripresa». Ipotesi, tra l’altro, sostenuta anche dal presidente del consiglio Conte da fine marzo, dopo avere sostenuto la linea pro-Mes «alleggerito» in un’intervista al Financial Times del 19 marzo. Opzione abbandonata per l’ostilità dei Cinque Stelle al Mes. Una linea incerta che relega il governo in una condizione politica gregaria e indebolita in vista del consiglio europeo di giovedì prossimo. In quella sede si dovrà ottenere il via libera al «fondo per la ripresa» per riequilibrare l’assenso anche ai 35 miliardi del «Mes» che il governo sostiene di non volere comunque usare. Una tesi che lo mette al riparo, per ora, dal «No» dei Cinque Stelle, e dall’aggressività delle destre, ma che può escludere il ricorso allo scudo di Draghi: le operazioni definitive monetarie (Omt) varate nel 2012, e mai usate, che permetterebbero l’acquisto illimitato di titoli a uno-tre anni sui mercati secondari da parte della Bce. L’Omt potrebbe essere necessario a un paese che si avvia verso un debito pubblico al 170-180% del Pil per tenere basso lo spread, evitare che i costi esplodano, sventando un default. Si tratta di una macchinosa rete di protezione contro la possibilità di una crisi drammatica, sebbene presenti numerose incognite legate alla gestione del debito e delle condizionalità che potrebbero essere imposte a paesi già stremati. Questa complicata, estenuante e traballante architettura sembra comunque inadeguata per affrontare la nuova crisi che avrebbe bisogno di un processo costituente europeo e di un cambio di missione della Bce trasformata in prestatrice di ultima istanza. Prospettive politicamente irrealizzabili, oggi.