Non è il parlamento italiano ma l’Eurosummit riunito a Bruxelles. Però non solo la partita è la stessa giocata due giorni fa a Roma, la riforma del Mes con sullo sfondo gli altri capitoli della riforma complessiva, garanzie sui depositi e futura unione bancaria, ma anche lo schema di gioco è identico. Sfumature, parole limate, ambiguità adoperate per rinviare ed evitare il confronto aperto. Su richiesta del premier italiano Conte la dichiarazione finale viene modificata. Cambia una paroletta, che per il governo di Roma vuol dire molto. La prima versione incaricava i ministri delle Finanze di «finalizzare il lavoro tecnico sul pacchetto di riforme del Mes» in gennaio. Il cambiamento chiesto e ottenuto da Conte assegna agli stessi ministri la missione di «continuare a lavorare» sul pacchetto. Una formula che permette a Conte di dichiarare che si continuerà «a lavorare senza l’assillo di una firma», dal momento che «non abbiamo sottoscritto alcunché».
Anche sulla tempistica delle altre riforme, che per l’Italia sono il passaggio più delicato e pericoloso, nulla sembra essere stato definito. La richiesta dei 5S, pur se non formalizzata nella risoluzione di maggioranza votata dalle Camere, è un voto contestuale su tutti i capitoli della riforma complessiva. Obiettivo in realtà irraggiungibile, essendo la definizione del passaggio chiave sull’Unione bancaria stata rinviata di fatto al 2024. Applicare la logica di pacchetto, dopo lo spacchettamento va al di là delle capacità diplomatiche anche dell’avvocato Conte. Il quale tuttavia non demorde e ripete che «noi ci riserviamo di fare una valutazione complessiva. Finora, a dispetto delle mistificazioni, non abbiamo firmato niente».

Se è vero che nella sostanza l’Italia non ha ancora ottenuto niente, né per quanto riguarda la richiesta di modificare le regole sulle Cacs, la Clausole di azione collettiva, all’interno del Trattato sul Mes né per quanto riguarda le garanzie sui depositi e l’Unione bancaria, è però anche vero che la formalizzazione del rinvio è sul piano diplomatico, un successo del premier che può a buon diritto rivendicare l’aver difeso la linea dettata dal parlamento. A Bruxelles Conte ha saputo giocare le sue carte. Le difficoltà del governo italiano sono cosa dell’Unione, non faccenda nazionale. Lo spauracchio di Salvini è temuto a Bruxelles, Parigi e Berlino, non solo a Roma. In più, forse, alla Francia non è dispiaciuto appoggiarsi all’Italia per rivedere una riforma del Fondo Salvastati che neppure a Parigi sarebbe del tutto gradita nella forma attuale.

Ma, come sempre in questi casi, la chiave dell’armonia raggiunta ieri a Bruxelles è l’ambiguità. L’Eurogruppo di gennaio non ha più il compito di definire l’accordo col Mes. Però la firma resta prevista entro marzo mentre Conte vorrebbe tirarla per le lunghe almeno fino a giugno. La richiesta di modifica strappata dall’Italia smentisce il presidente dell’Eurogruppo Centeno, secondo cui la riforma sarebbe stata approvata a inizio del prossimo anno. Dopo il rinvio però interviene la presidente von der Leyen: «La rapida attuazione del Mes è importante». La «valutazione complessiva» di cui parla Conte è una chimera e su una delle richieste fondamentali dell’Italia, il non inserimento di un tetto per i titoli di Stato detenuti dalle banche, la presidente della Bce si esprime in senso opposto ai desideri di Roma provocando la reazione stizzita dei 5S: «Dichiarazione inopportuna nei modi e nei tempi». In materia di Mes e di Unione monetaria, nonostante il punto segnato ieri, il premier continua a camminare su una fune sospesa nel vuoto.