Oggi il ministro dell’Economia Gualtieri riferirà di fronte alla commissione Finanze sul Mes, il Fondo salva stati che continua a dividere la maggioranza e sul quale è guerra aperta con l’opposizione. I presidenti delle commissioni Finanze e Politiche europee della Camera, Sergio Battelli e Carla Ruocco, avevano chiesto che l’audizione si tenesse di fronte alle commissioni congiunte dei due rami del parlamento. Il presidente, il leghista Bagnai, non ha neppure risposto alla loro lettera. La reazione è durissima: «Gravità inaudita e senza precedenti», dimostrazione della «totale sfiducia della Lega nella democrazia parlamentare». La levata di scudi sarebbe più credibile se Conte non avesse fatto il possibile per dribblare il confronto con il parlamento, scegliendo per riferire di fronte alle Camere il 10 dicembre, ultimo giorno valido prima della riunione del Consiglio europeo che varerà la riforma il 13 dicembre. Troppo tardi per qualsiasi intervento tranne una bocciatura secca che implicherebbe un conflitto, quello sì senza precedenti, con Bruxelles.

Nessuna suspense su quel che dirà oggi Gualtieri: difenderà a spada tratta il nuovo Mes. Già ieri una nota del ministero ribadiva che la riforma «non introduce la ristrutturazione del debito pubblico italiano e tanto meno prevede la confisca dei conti correnti». L’ultimo passaggio è la risposta a un’ipotesi indicata dal quotidiano Milano Finanza e ripresa da Salvini con toni incandescenti. Il ministero si scaglia contro una voce «totalmente infondata che continua a inquinare il dibattito». «L’eccitazione è assolutamente fuori luogo», minimizza lo stesso Gualtieri: «C’è un sostanziale mantenimento del Mes com’era prima». Ma sostenere che l’allarme sia del tutto infondato suona come una forzatura estrema. Le critiche rivolte alla riforma del Mes sono innumerevoli. Ieri si è aggiunta quella del Cer (Centro Europa ricerche), secondo cui potrebbe indurre una crisi del debito simile a quella del 2011, provocata dalla divisione tra «Paesi buoni e cattivi» introdotta dal Mes rinnovato. Critica che si aggiunge a quelle di Bankitalia, degli esperti auditi in commissione Galli e Gioffrè, del presidente dell’Abi Patuelli.

Del resto, checché ne dica il parlamento, il governo sembra aver già deciso di firmare la riforma, che Conte definisce «digeribile». Nella riunione dell’Eurogruppo del 4 dicembre il premier italiano non dovrebbe chiedere neppure un rinvio, al quale è contrario più di ogni altro proprio il ministro Gualtieri. Verrà chiesto ai 18 Paesi di fissare una roadmap per arrivare all’unione bancaria, e le roadmap, si sa, non si negano mai a nessuno, valendo quel che valgono. Verrà chiesto che venga assicurato che il passo successivo, l’unione bancaria, non procederà nella direzione voluta dalla Germania, esiziale per le banche italiane. Ma anche in questo caso, ammesso che la richiesta sia accolta, si tratterà di parole. Poi Conte firmerà sfidando di fatto sia l’opposizione, che con Salvini promette «le barricate», sia, e anzi soprattutto, M5S e LeU. «Secondo noi il negoziato andrebbe migliorato. Ci sarà un dibattito nella maggioranza, ma sereno e tranquillo», sostiene Di Maio.
In realtà ci sarà ben poco da stare tranquilli. Se, dopo la firma, il parlamento bocciasse il nuovo Mes sarebbe la fine del governo ma anche qualora una mozione in aula, il 10 dicembre, bloccasse Conte in extremis la situazione non sarebbe molto più rosea. Gualtieri è deciso a chiudere la partita subito, anche perché questo esigono Germania e Francia. I 5S, quasi certamente, dovranno arrendersi. Fingendo di aver strappato modifiche in realtà inesistenti.