Le trattative si sono interrotte dopo quattordici ore. Erano da poco passate le sette del mattino, ieri, quando i vertici della Indesit si sono alzati dal tavolo con i sindacati allestito al ministero dello Sviluppo Economico, annunciando che l’azienda «ha dovuto constatare l’incomprensibile impossibilità di raggiungere un accordo» e che per questo è «costretta a portare avanti unilateralmente il piano». Tradotto: 1425 esuberi, per i quali è stata aperta la procedura di mobilità. «Il mancato accordo – si legge ancora in una nota – impedisce l’accesso agli ammortizzatori sociali e penalizza i lavoratori». Questo schema, disegnato lo scorso giugno, prevede la chiusura di due stabilimenti (Fabriano e Caserta), più un forte ridimensionamento della fabbrica di Comunanza (Ascoli), nella quale salteranno 230 posti di lavoro.
Nelle ultime settimane, l’azienda aveva rivisto per due volte il piano, abbassando gli esuberi prima a 1299 poi a 1030, dei quali 400 destinati ad essere riassorbiti e 330 da accompagnare verso la pensione. Inoltre sarebbero stati attivati i contratti di solidarietà e gli investimenti per la ricerca sarebbero cresciuti da 70 a 83 milioni di euro. L’ok dei sindacati, però non è arrivato: i rappresentanti dei lavoratori volevano maggiori garanzie sulla riorganizzazione produttiva, cioè volevano evitare la fuga all’estero del colosso marchigiano dell’elettrodomestico.
«Servivano più informazioni – spiega il segretario della Fiom Marche, Giuseppe Ciarrocchi –, perché gli spostamenti della produzione e dei volumi annunciati dall’azienda non davano garanzie ai lavoratori».
Non tutto è perduto, però. Non ancora. Lo spiega la Uilm: «Per quanto traumatica, la procedura di mobilità non rappresenta la fine delle trattative: abbiamo ancora 75 giorni di tempo per cercare una soluzione che scongiuri i licenziamenti e risulti accettabile sia per i lavoratori sia per l’azienda. Intraprenderemo tutte le iniziative utili a una rapida ripresa del negoziato». Dalle parti del governo, però, la rottura delle trattative è stata presa con rammarico. «C’erano impegni dell’azienda a rafforzare il radicamento italiano della produzione e a chiarire la missione di ognuno degli stabilimenti – dice il sottosegretario allo Sviluppo Economico Claudio De Vincenti –. Tutto ciò aveva consentito di azzerare gli esuberi, con la disponibilità di Indesit a ricorrere solo ad ammortizzatori sociali conservativi e a escludere licenziamenti per almeno cinque anni. Spiace molto che tutto ciò non sia stato apprezzato dai sindacati con un testo condiviso».
A quanto si apprende, nella lunga notte di trattative, a un certo punto Uilm e Fiom si sono trovate d’accordo nel puntare a un mandato a trattare da sottoporre ai lavoratori. La Fim Cisl, però, voleva raggiungere un’intesa con l’azienda subito, che dal canto suo riteneva concluso il tempo delle trattative. Arenati su questo punto, la rottura è arrivata quando si è parlato di produzione ed esuberi: troppo poche le garanzie offerte dall’azienda, che, in questo modo, si sarebbe trovata comunque nelle condizioni di dire addio all’Italia in ogni momento, senza troppo problemi.
E la rabbia dei lavoratori è tutta rinchiusa in questo particolare: la sensazione di essere stati traditi da una famiglia (i Merloni) che ha sempre fatto del territorio marchigiano la propria forza, almeno da un punto di vista commerciale. Non solo, l’erede universale, Paola, è ormai al terzo mandato in Parlamento (prima con il Pd, adesso con i montiani, o quel che ne resta), arrivata fin lì con i voti di una regione a cui ora stanno voltando le spalle. Pochi giorni fa, a Fabriano, sono andate in scena le celebrazioni in pompa magna del primo mezzo secolo di vita della Fondazione Aristide Merloni.
C’erano tutti quelli che da queste parti contano qualcosa. Fuori, sotto la pioggia, sfilavano i lavoratori, tampinati dalla polizia. Dentro Romano Prodi spiegava al pubblico la sua idea di Europa, e il premier Enrico Letta, in videoconferenza da Roma, si rammaricava «di non poter essere lì», per poi lanciarsi in uno sperticato elogio del governatore regionale Gian Mario Spacca, «novello Marco Polo che per promuovere le sue Marche arrivano ovunque». Le stesse Marche dissanguate dalle fabbriche che chiudono a decine ogni mese. Le stesse Marche la cui «banca del territorio» sta venendo giù, tra buchi mostruosi in bilancio e inchieste della procura di Ancona. Nei discorsi di Spacca, però, questa realtà sembra non esistere: «I dati del turismo sono in crescita anche quest’anno».