Forse è tra i discorsi più teorici e utopici che oggi si trovano le filosofie più pratiche e politiche. Prendiamo come esempio il discorso sulla salvaguardia ambientale e, in particolare, l’idea che per abitare convenientemente il pianeta occorra considerarlo come un insieme di componenti non separate. Umani, animali, piante, composti biochimici, minerali e con essi le macchine e tutti i dispositivi che si sono intrecciati inestricabilmente con i corpi e la vita sulla terra. Cosa può significare dal punto di vista filosofico tale reintegrazione di elementi e sistemi prima considerati autonomi, non comunicanti fra loro? Può significare che l’ambiente costituisce il tutto che unifica ciò che è, incluse quelle cose che gli umani hanno aggiunto alla natura. Significa che il tutto, l’uno, l’essere si costituiscono come gli orizzonti più abbraccianti che dovrebbero guidare le azioni di noi umani, a nostra volta non più soggetti separati dalla natura, ma modulazioni di quest’ultima.

NEL SECOLO SCORSO, fra i filosofi che hanno ridato impulso a quelle che, con un apparente ossimoro, oggi potremmo definire teoresi pratiche vanno annoverati alcuni pensatori che si sono occupati del linguaggio da prospettive non cognitiviste e antropocentriche. Fra questi filosofi Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) è tra i più importanti. Su questi argomenti, oltre a ciò che il pensatore francese pubblicò in vita, occorre considerare anche un testo non giunto a compimento, pubblicato postumo e oggi tradotto in italiano con il titolo La prosa del mondo (Mimesis, pp. 184, euro 15, a cura di Pierre Dalla Vigna, introduzione di Carlo Sini). Un testo che i conoscitori di Merleau-Ponty considerano come una risposta a Che cos’è la letteratura? di Sartre e come un’anticipazione del libro di Foucault, Le parole e le cose.

Nella Prosa del mondo il linguaggio è presentato come un magma di elementi inseparati – magma tuttavia non sprovvisto di increspature che lo differenziano. Una di queste increspature è lo stesso soggetto che parla, scrive, traccia segni, concepisce significati. Secondo Merleau-Ponty non solo le parole e le regole grammaticali, ma anche i parlanti e gli scriventi non sono separati dalle cose. Ragione per cui, per il filosofo francese, non disponiamo di una distanza dalla quale osservare il linguaggio per scorgerne l’origine e definirne l’essenza. Anche pensare il linguaggio è sempre letteralmente «pensare qualcosa»; ossia intrecciare il linguaggio stesso alle cose. Parlare è manipolare il tutto di cui noi stessi parlanti facciamo parte.

La differenza e la negazione attraverso le quali la linguistica saussuriana definisce i sistemi semiotici e semantici non sono più solo interne al linguaggio, secondo Merleau-Ponty.

PER IL FILOSOFO FRANCESE differenza e negazione sono simultaneamente interne ed esterne al codice. E solo passando da un codice all’altro possiamo avere una qualche rappresentazione astratta del linguaggio. Questo vuol dire che non è tanto la comparazione analitica, quanto la traduzione la dimensione che più approssima il linguaggio.

Il linguaggio non separa la significazione dalla cosa significata e dal referente, ma al contrario attesta la loro inseparabilità. L’eventuale insensatezza linguistica non è data dal fatto che il sistema comunicativo fallisce nelle sue regole grammaticali, ma dal fatto che non si è riusciti a raggiungere la cosa stessa.

Nell’approdo a quest’ultima e non semplicemente nella licenza dalla grammatica sta il senso della poesia e della letteratura per Merleau-Ponty.