Per la prima volta dall’inizio della crisi i due leader europei Merkel e Hollande comprendono che le elezioni presidenziali ucraine del 25 maggio sono a grave rischio, se le operazioni militari di Kiev persistono. Per questo ieri, all’interno di una nota congiunta, hanno chiesto esplicitamente al governo di Majdan di fermare gli attacchi e le truppe nelle regioni orientali. «L’uso illegittimo della forza per proteggere i beni e le persone deve essere proporzionato», hanno specificato Merkel e Hollande, chiedendo a Kiev di «astenersi dal condurre azioni offensive prima delle elezioni».

È chiaro che una consultazione elettorale, sotto il giogo dei tank, non può essere considerata possibile. Nè tanto meno, almeno mediaticamente, l’uso dei blindati per imporre le elezioni, giova ad un governo nato con la partecipazione militare dell’estrema destra e subito rifiutato da metà paese. L’invito di Merkel e Hollande costituisce una novità e apre a nuovi spiragli. I due hanno mantenuto le minacce alla Russia – di ritirare le truppe dai confini, di non boicottare le elezioni, circostanze che Mosca del resto ha chiarito nei giorni scorsi, annunciando il ritiro delle truppe e dando l’ok alle presidenziali – ma hanno anche chiesto la destituzione di «tutti» i gruppi paramilitari, sia quelli di Kiev, sia quelli dei filorussi. Merkel e Hollande hanno chiesto «un disarmo di tutte le forze armate illegalmente, al più tardi a partire dal 15 maggio».

L’Europa, per quanto abbia sostenuto Majdan, non può non considerare alcuni aspetti; innanzitutto la scomoda presenza dei neonazisti, dapprima in piazza, poi al governo e ora come squadre speciali in giro per il paese e su cui pesano i sospetti del rogo di Odessa e di molti dei morti a Mariupol nei giorni scorsi; ci sono poi state le richieste già fatte a Ginevra di un loro disarmo, mai applicato da Kiev e l’esigenza di svolgere indagini indipendenti tanto sui fatti di Majdan, quanto su quelli di Odessa. Kiev al riguardo non ha mai risposto.
Su tutto pesa infine la necessità che le presidenziali non possano essere imposte con attacchi militari a popolazioni che non riconoscono un governo definito golpista (e che rischia di imporre la consultazione con le armi).

Chi si potrebbe dichiarare vincitore, in queste condizioni, il 26 maggio? Merkel e Hollande riportano così l’Europa in una posizione rilevante in termini negoziali, specie quando nella nota di ieri, chiedono anche colloqui congiunti, tra tutte le parti. La cancelliera tedesca ed il presidente francese hanno infatti ribadito la necessità di «un dialogo nazionale tra i rappresentanti del governo ucraino ed i rappresentanti di tutte le regioni ucraine», che deve essere avviato «al più tardi prima del 25 maggio e deve affrontare tutte le questioni pendenti», in particolare per quanto riguarda l’ordine costituzionale e il decentramento amministrativo.

L’ultimo monito ha riguardato le questioni legati ai problemi energetici: «Tutte le parti devono astenersi da ogni azione che possa colpire l’economia ucraina, specialmente nel settore dell’energia» ed i partner internazionali vengono esortati a «fornire a Kiev un’assistenza economica e finanziaria» in coordinamento con le istituzioni finanziarie.

Per quanto riguarda gli aspetti militari, ieri è stata una giornata di commemorazione e lutto a Mariupol, a seguito dei morti delle scorse giornate. In tarda mattinata la Guardia Nazionale di Kiev ha annunciato il suo ritiro dal centro della città. L’attenzione si è così spostata sul referendum indipendentista (definito illegale da Merkel e Hollande).

Consultazione già cominciata, perché in alcune città, a causa del deteriorarsi della situazione, si è votato ieri. Dopo ripensamenti, sulla scheda elettorale ci sarà la seguente domanda: «Sei a favore dell’indipendenza della Repubblica di Donetsk?». Il risultato dovrebbe essere scontato e a quel punto bisognerà capire cosa potrà succedere. Difficile un’operazione di Mosca sullo stile di quanto fatto con la Crimea. Del resto è stato proprio Putin ad aprire a trattative, purché siano presenti esponenti dei ribelli del sud est, dando anche l’ok alle elezioni presidenziali del 25 maggio.