Ai giovani raccomanda di scegliere sempre un «percorso indipendente» anche se difficile, anche se come è accaduto nella sua esperienza può costare grandi sacrifici economici e non solo. Meredith Monk sorride, le sue parole risuonano nello spazio silenzioso del teatro Rasi con grazia delicata. A Ravenna è arrivata grazie appunto all’esperienza di Malagola, il centro internazionale di studi sulla vocalità fondato lo scorso autunno da Ermanna Montanari e Enrico Pitozzi. È qui che l’artista americana – nata a New York nel 1942 – compositrice, cantante, regista, protagonista di una ricerca che inizia negli anni Sessanta e che ancora oggi, coi suoi ottant’anni, le sue inconfondibili treccine (senza capelli bianchi) non si è arrestata, ha lavorato per tre giorni con i quindici allievi del corso di alta formazione. Insieme a lei c’erano Ellen Fisher e Katie Geissinger, due delle performer che da decenni costituiscono il suo gruppo.
Pioniera di una performance che sconfina tra teatro e altre forme espressive, con la sua musica che ama contaminare folk e contemporaneo mettendo al centro tutte le possibilità e le modulazioni della voce, Monk sul palcoscenico ha attraversato insieme all’amica e studiosa – autrice del volume Conversation with Meredith Monk, 2020 – Bonnie Marranca il tempo della sua ricerca, punteggiata da incontri e da rivelazioni – «Quando ho deciso che volevo essere artista sono stata sul letto una giornata intera, è stata una scelta difficile». Più che su aspetti «tecnici» o su singole creazioni il loro dialogo ha voluto dunque essere una riflessione aperta, tra suggestioni di cui ciascuno poteva conservare per sé e un dettaglio.

IL PRESENTE, la pandemia e la creazione del nuovo lavoro di Monk, Indra’s Net, un’opera che chiude la trilogia sulla relazione tra l’uomo e la natura, ricordando l’ansia di non poter trovarsi e provare insieme – e la gioia di quando è salita su un palco di nuovo. Ma anche come quella condizione è stata poi lo spunto per sperimentare altre modi di creazione comune. E il passato, gli incontri, la Beat Generation, la meditazione, il buddismo. Con quell’idea ricorrente di «ritmo» – «che è fondamentale per tutto quello che faccio» – e con l’importanza di fare qualcosa che si ama. «C’è una libertà meravigliosa nell’essere artisti» è stato il suo saluto. Prezioso.