Meredith Monk, la performance nel ritmo della vita
Meredith Monk al Teatro Rasi
Visioni

Meredith Monk, la performance nel ritmo della vita

Spazi d'arte L’artista ha tenuto un laboratorio con gli allievi a Malagola e una lezione pubblica al Rasi di Ravenna
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 3 maggio 2022

Ai giovani raccomanda di scegliere sempre un «percorso indipendente» anche se difficile, anche se come è accaduto nella sua esperienza può costare grandi sacrifici economici e non solo. Meredith Monk sorride, le sue parole risuonano nello spazio silenzioso del teatro Rasi con grazia delicata. A Ravenna è arrivata grazie appunto all’esperienza di Malagola, il centro internazionale di studi sulla vocalità fondato lo scorso autunno da Ermanna Montanari e Enrico Pitozzi. È qui che l’artista americana – nata a New York nel 1942 – compositrice, cantante, regista, protagonista di una ricerca che inizia negli anni Sessanta e che ancora oggi, coi suoi ottant’anni, le sue inconfondibili treccine (senza capelli bianchi) non si è arrestata, ha lavorato per tre giorni con i quindici allievi del corso di alta formazione. Insieme a lei c’erano Ellen Fisher e Katie Geissinger, due delle performer che da decenni costituiscono il suo gruppo.
Pioniera di una performance che sconfina tra teatro e altre forme espressive, con la sua musica che ama contaminare folk e contemporaneo mettendo al centro tutte le possibilità e le modulazioni della voce, Monk sul palcoscenico ha attraversato insieme all’amica e studiosa – autrice del volume Conversation with Meredith Monk, 2020 – Bonnie Marranca il tempo della sua ricerca, punteggiata da incontri e da rivelazioni – «Quando ho deciso che volevo essere artista sono stata sul letto una giornata intera, è stata una scelta difficile». Più che su aspetti «tecnici» o su singole creazioni il loro dialogo ha voluto dunque essere una riflessione aperta, tra suggestioni di cui ciascuno poteva conservare per sé e un dettaglio.

IL PRESENTE, la pandemia e la creazione del nuovo lavoro di Monk, Indra’s Net, un’opera che chiude la trilogia sulla relazione tra l’uomo e la natura, ricordando l’ansia di non poter trovarsi e provare insieme – e la gioia di quando è salita su un palco di nuovo. Ma anche come quella condizione è stata poi lo spunto per sperimentare altre modi di creazione comune. E il passato, gli incontri, la Beat Generation, la meditazione, il buddismo. Con quell’idea ricorrente di «ritmo» – «che è fondamentale per tutto quello che faccio» – e con l’importanza di fare qualcosa che si ama. «C’è una libertà meravigliosa nell’essere artisti» è stato il suo saluto. Prezioso.

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