Secondo giorno di sciopero generale, ieri, in Paraguay, a conclusione del vertice del Mercosur. Dopo aver bloccato le strade in diverse parti del paese, i lavoratori hanno manifestato nella capitale Asuncion, dove si stava svolgendo il summit. Lo sciopero è stato convocato dalla Plenaria de Centrales Sindicales, che riunisce sindacati, organizzazioni popolari e movimenti. Tutti in piazza per esprimere «rifiuto profondo» al governo neoliberista di Horacio Carter. Il Paraguay – ha dichiarato Cartes, facendo indignare le femministe e i lavoratori – dev’essere facile come una bella ragazza: facile da vendere e da affittare», e ha invitato gli imprenditori a «usarne e abusarne».

Uno «stile» che il presidente intende trasferire nel Mercosur, nonostante il poco peso commerciale (1%). Il Paraguay è stato sospeso dal blocco regionale (e poi dalla Unasur) a giugno del 2012, dopo il golpe istituzionale contro l’allora presidente progressista Fernando Lugo. In quel frangente (il 43mo vertice di Mendoza) venne ufficializzato l’ingresso del Venezuela, bloccato per anni. L’anno dopo il Paraguay è stato riammesso e in questo summit ha terminato il periodo di presidenza pro-tempore, passando il testimone all’Uruguay.
Un vertice, quest’ultimo, all’insegna del conflitto tra l’imprenditore Macri (neoletto presidente argentino) e la ministra degli esteri del Venezuela, Delcy Rodriguez, attaccata frontalmente dalle destre. Cartes e Macri premono per riportare all’insegna del neoliberismo e dell’asimmetria nord-sud il mercato comune dell’America meridionale, composto da Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela, come stati membri, e da Bolivia, Cile, Perù, Colombia e Ecuador come stati associati. Le conclusioni del vertice prevedono così un accordo di libero commercio con l’Unione europea e annunciano una prossima riunione con l’Alleanza del Pacifico, a guida Usa.

L’accordo con la Ue è stato negoziato a porte chiuse, all’insegna della segretezza che ha caratterizzato l’Accordo Transpacifico realizzato dagli Usa e il Tpp. Solo il Venezuela e la Bolivia hanno espresso contrarietà mentre l’Argentina di Cristina Kirchner si era in precedenza astenuta. L’accordo con la Ue – uno dei principali soci commerciali del Mercosur – si è messo in moto nel 1994, quando l’America latina era preda delle politiche neoliberiste imposte dall’Fmi. Con la vittoria di Chavez e l’elezione di governi progressisti e socialisti, l’asse Cuba-Venezuela ha modificato le alleanze degli organismi regionali all’insegna delle relazioni paritarie sud-sud. Ma ora, con la vittoria delle destre in Argentina e in Venezuela, il vento è cambiato e rischia di riportare indietro l’orologio della storia.

L’Uruguay di Tabaré Vazquez non è quello del tupamaro Pepe Mujica. Vazquez non ha mai aderito con convinzione alle nuove alleanze solidali, e di recente ha suscitato un pandemonio in Uruguay cercando di far passare in sordina la firma del Tisa, l’accordo di liberalizzazione dei servizi, tutt’ora incombente. E l’uruguayano Luis Almagro, segretario generale dell’Osa, è intervenuto a favore delle destre venezuelane, violando la consegna del suo partito.

Centrale, la posizione del Brasile, primo destinatario delle esportazioni argentine e terzo partner commerciale per esportazioni in Argentina. Le forze conservatrici premono sulla presidente brasiliana Dilma Rousseff: sotto attacco delle destre nel suo paese dove rischia l’impeachment e contestata a sinistra per aver ceduto alle politiche neoliberiste portate avanti dall’ex ministro delle Finanze Joaquim Levy, ora sostituito con Nelson Barbosa. Al vertice di Asuncion, Rousseff ha ricevuto il pieno appoggio della ministra Rodriguez e ha ricambiato difendendo la sovranità e la democrazia del Venezuela contro gli attacchi di Macri, paladino dei golpisti venezuelani. Macri vorrebbe sanzionare il Venezuela per presunte violazioni ai diritti umani. In Argentina, i movimenti popolari hanno manifestato in appoggio a Caracas, prendendo posizione sul vertice del Mercosur.