La pandemia ha provocato sull’economia uno shock di dimensioni planetarie. Il commercio mondiale è crollato: secondo i dati del Wto in pochi mesi è tornato a livelli vicini a quelli dei primi anni 2010. Le stime dell’impatto della crisi pandemica sull’economia globale prevedono un calo drastico di produzione, occupazione e del commercio internazionale in misura superiore a quello registrato per effetto della crisi finanziaria globale del 2008-2009, con effetti più marcati sulle economie avanzate rispetto a quelli previsti per le economie emergenti e in via di sviluppo. Un collasso che inevitabilmente ha determinato e continuerà a determinare la chiusura di settori produttivi e perdita occupazionale.

IN TALE CONTESTO SI SCOPRE CHE LA SCELTA di praticare un commercio alternativo, basato sui principi della solidarietà e dell’equità, anziché della competizione, ha permesso di ridurre i danni. Essere equi e solidali anche fra produttori, premia. Lo racconta il primo report che descrive l’impatto della pandemia di Covid 19 sull’economia solidale. A realizzarlo è stato Altromercato, la principale organizzazione di commercio equo e solidale in Italia e la seconda al mondo, una realtà nata trent’anni fa per sostenere l’economia «come dovrebbe essere»: spazio ai produttori marginalizzati delle economie internazionali e nazionali, promozione di prodotti innovativi, rispettose dell’ambiente, economicamente sostenibili e funzionali, impegno per il cambiamento sociale.

L’INDAGINE E’ STATA REALIZZATA interpellando direttamente i produttori aderenti a organizzazioni del Commercio Equo e Solidale: non solo dati quindi, ma anche e soprattutto voci e testimonianze che documentano come tale modello si sia dimostrato efficace in un momento di crisi come quello della pandemia mondiale di Covid-19: l’impronta solidale che caratterizza tutta la filiera produttiva ha agito come una cappa di protezione, facendo si che i produttori che si sono trovati in maggiori difficoltà non sono stati lasciati da soli.

IL DATO PIU’ SIGNIFICATIVO in questo senso è che durante la crisi nessuno dei produttori aderenti alla rete di Altromercato ha visto annullare gli ordini dai propri acquirenti, e quindi non è stato necessario licenziare nessuno. Ed i numeri relativi ai cali di fatturato sono lontani da quelli mastodontici lamentati dai produttori tradizionali.

L’INDAGINE SI E’ SVOLTA INVIANDO un questionario a tutte le organizzazioni coinvolte. Hanno risposto 46 realtà produttrici nel settore dell’alimentazione, della cosmesi e dell’artigianato, appartenenti a 22 paesi distribuiti in tutti i continenti.

IL DOSSIER MOSTRA CHE LE DIFFICOLTA’ che hanno avuto un peso maggiore per le organizzazioni sono quelle derivate dall’impossibilità degli spostamenti, dalla mancanza di forniture e dalla chiusura delle produzioni; minore l’impatto della riduzione di ordine e vendite o del lavoro. Le difficoltà maggiori a livello personale invece sono state quelle relative alla gestione familiare e, di nuovo, al raggiungimento del luogo di lavoro. Nettamente inferiori le difficoltà lavorative o di salute fisica e mentale in famiglia.

QUESTO TIPO DI RIDUZIONE DEGLI IMPATTI è probabilmente in relazione con le azioni di aiuto che sono state dispiegate all’interno della rete di Altrocommercio, altro tema che il dossier ha voluto esplorare mostrando come il sostegno dato dalle organizzazioni sia stato maggiore di quello ricevuto, ad esempio da governi o ONG, e di come i produttori non siano stati lasciati soli dalle organizzazioni di provenienza. Fra le misure intraprese a sostegno di soci -lavoratori emergono più frequentemente servizi di navette per il tragitto casa-lavoro (azione intrapresa dall’organizzazione nepalese Manushi, dalla filippina Profairtrade e da Fedeocagua, Guatemala) test Covid-19 e assistenza sanitaria gratuite ( Ccap nelle Filippine e Norandino in Perù) pacchi con contanti, mascherine e sapone, chiusure anticipate rispetto al lockdown, creazione di reddito alternativo con articoli destinati al mercato locale. Il dossier mostra anche un fortissimo impegno verso le comunità locali: l’80% delle organizzazioni di produttori interpellate sostiene infatti di aver intrapreso azioni di aiuto per le comunità vicine, in particolare quelle ove si trovavano i loro produttori ma anche altre.

LA SEZIONE DEL DOSSIER DEDICATA alla valutazione delle perdite in termini di produzione e fatturato ha mostrato come a pagare maggiormente siano stati i settori produttori di beni non di prima necessità, come l’abbigliamento. Per quanto riguarda la produzione di generi alimentari, invece, in tutto il mondo, pur non senza difficoltà nella fase di lavoro, non si è assistito a cali di produzione e a perdite consistenti: la media è del 22%.

CIO’ NON TOGLIE CHE LE CONSEGUENZE siano state molto diverse a seconda del tipo di prodotto e del suo ciclo di produzione: per esempio Fedeocagua in Guatemala non ha subito perdite perché il lockdown è iniziato dopo la raccolta e la spedizione del caffè all’estero, mentre la chiusura delle frontiere statunitensi ha determinato la perdita del 100% di vendita delle banane per la costaricana Coopeagri. Per quanto riguarda il fatturato, la perdita è stata in media del 35% per chi produce alimenti e del 53% per chi si occupa di prodotti diversi dagli alimenti.

Infine, la pandemia ha imposto una riflessione sul futuro che nonostante l’instabilità e l’incertezza vissuti viene declinata dai produttori del commercio equo in termini sostanzialmente positivi: emerge la speranza che la crisi aumenti la consapevolezza sulle priorità del pianeta e delle persone che lo abitano, il valore e la forza di appartenere a una rete di economie alternative sono aumentati, il potere e le potenzialità del commercio equo sono più chiare, come anche il valore dell’aiuto e del sostegno. L’aver saputo rispondere a una crisi mondiale come quella provocata dal Covid -19 lo dimostra.