Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata
Autonomia differenziata La conclusione dell’iter legislativo sull’Autonomia differenziata, conclusione per la quale i presidenti di regione del Pd producono sforzi rilevanti, è una pietra duplice
Autonomia differenziata La conclusione dell’iter legislativo sull’Autonomia differenziata, conclusione per la quale i presidenti di regione del Pd producono sforzi rilevanti, è una pietra duplice
In verità a Roma si cerca di non discutere di Sagunto; anzi il non discuterne è un momento funzionale per accelerarne la caduta. L’articolo 5 della costituzione è la nostra Sagunto, là dove si dice che «la Repubblica (è) una e indivisibile», e che, le pur ampie autonomie locali promosse dallo Stato riguardano la sfera del «decentramento amministrativo».
Da questo punto di vista alcuni bastioni e pezzi delle mura che difendevano Sagunto sono già caduti da un pezzo. Ed il fatto che siano caduti soprattutto per mano degli eredi (?) di coloro che si erano battuti con maggiore determinazione per introdurre il regionalismo nel sistema istituzionale italiano, rende particolarmente difficile la resistenza all’assalto finale. Resistenza, peraltro indispensabile.
In controtendenza al silenzio di Roma, su questo giornale si è discusso della fase attuale e futura delle autonomie locali con la consapevolezza di quanto sia grave la situazione. È emersa, in alcuni interventi, l’ipotesi che si debba ritornare ai criteri originari del regionalismo tramite revisione della legge elettorale del 1999 (elezione diretta dei presidenti) e, soprattutto, revisione del Titolo V della Costituzione, approvata nel 2001.
Un’ipotesi certamente ragionevole in astratto, ma che non tiene realisticamente conto della profondissima diversità dei contesti storici caratterizzanti il momento fondativo del regionalismo e la sua realtà di oggi. Una realtà di cui il «teatrino del cialtronismo» (Rangeri) è solo l’epifenomeno emergente da una solida struttura costruita nel tempo con materiali del tutto organici alla nuova «ragione del mondo» dominante dopo la fine dell’«età dell’oro».
Non si è trattato della transizione tra diverse stagioni di governo, bensì del passaggio ad una diversa fase di accumulazione.
La fase in cui si sono poste le basi del regionalismo è stata quella in cui la crescita economica si era accompagnata, nel mondo del capitalismo avanzato, ad una redistribuzione del reddito tendente a restringere la forbice delle disuguaglianze, insieme ad un balzo in avanti della sfera dei diritti e quindi ad un avanzamento delle logiche della democrazia dei moderni.
La fase che è seguita, quella del neoliberismo, ne è il completo rovesciamento, del quale il nuovo regionalismo è importantissimo tassello.
Il fatto che gli eredi (?) della storia della tendenza all’inveramento della democrazia, siano stati tra i protagonisti più conseguenti della costruzione, teorica e pratica, della struttura neoliberista, rende oggi aleatoria la possibilità di un ripristino del significato originario dell’ordinamento regionale. In tutta coerenza, infatti, ancora oggi sono uomini di grande potere nel Pd come Bonaccini, seguito da ascari-cacicchi-governatori meridionali, sempre del Pd, che cercano di porre la pietra tombale sopra quell’impostazione della regione strumento di democrazia partecipativa dal basso che era stata del Pci.
La conclusione dell’iter legislativo sull’Autonomia differenziata, conclusione per la quale i presidenti di regione del Pd producono sforzi rilevanti, è, in verità, una pietra duplice. Da una parte, come si detto, tombale, dall’altra colonna finale portante dell’edificio che incorpora in Italia l’Europa di Mastricht.
Il lavoro sporco per arrivare rapidamente alla conclusione della costruzione in oggetto è demandato ad un altro ministro del Pd, Cesare Boccia. Sporco perché introduce disposizioni di tale rilevanza in maniera surrettizia, tramite collegato alla legge di bilancio. In modo furtivo, dunque, per limitare al minimo la discussione e, soprattutto, evitare la possibilità di un’abrogazione del dispositivo di legge per mezzo di un referendum popolare.
In una situazione del genere credo del tutto illusorio pensare ad una inversione di direzione contando sul consenso di una parte rilevante del ceto politico. Forse è meglio contare sulla disaffezione popolare largamente diffusa davanti al cialtronismo, e, su tale base, tentare la strada della «ragionevole follia» (d’Orsi).
Si deve, tuttavia, fare di tutto per evitare l’approvazione fraudolenta dell’Autonomia differenziata. In fondo vi sono esponenti di sinistra che reggono il governo e partecipano anche, in posizione rilevante, alla giunta Bonaccini. Restiamo dunque in attesa delle prove di coraggio dei «coraggiosi»
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