Torna la mobilitazione contro le cave delle Alpi Apuane, le montagne toscane da cui si estrae il prezioso marmo bianco. Sabato 24 ottobre a Carrara sono previste varie azioni dimostrative per chiedere il rispetto della legalità e limiti alle escavazioni di marmo e detriti, a cui si opporrà un contro-presidio annunciato dai lavoratori del marmo. Doveva essere una manifestazione nazionale, ma non si può fare per le misure anti-Covid.

A CONVOCARE la mobilitazione sono stati i giovani del collettivo Athamanta, dal nome di una pianta che cresce solo sulle Apuane, a rischio di estinzione per lo sfruttamento intensivo delle cave. Nato 9 mesi fa dall’incontro dei Fridays for Future di Carrara con Casa Rossa occupata, Athamanta ha avviato un percorso di assemblee di approfondimento sul tema dell’estrattivismo, prodotto documenti, affisso striscioni, organizzato presidi sotto il comune e incontri di sensibilizzazione in Italia.

«PENSIAMO CHE SULLE APUANE CI SIA una situazione disastrosa della quale tutti dobbiamo essere a conoscenza. Nel documentario Antropocene, l’epoca umana le Apuane sono inserite tra i 43 scenari più distruttivi al mondo – spiega Linda Paternò di Athamanta – negli ultimi 30 anni si è estratto più materiale che nei 2000 anni precedenti, ma la lavorazione in loco del marmo non esiste quasi più. Carrara ha un tasso di disoccupazione tra i più alti in Toscana e il comune è fortemente indebitato: quindi la mitologia che in questo territorio si vive grazie al marmo è sempre più fragile. Sappiamo che alti tassi di disoccupazione e devastazione ambientale sono due facce della stessa medaglia. Non chiediamo la chiusura immediata del sistema cave, ma di massimizzare i benefici della comunità in termini di ricaduta economica e occupazionale, minimizzando l’impatto dell’attività estrattiva».

SULLE ALPI APUANE ci sono circa 165 cave attive e 510 inattive, secondo un censimento del centro Geotecnologie dell’Università di Siena. I numeri sono approssimativi perché la situazione è in continua evoluzione. Ogni anno si estraggono 5 milioni di tonnellate di materiale (1 milione in blocchi, 4 milioni di detriti), l’equivalente di 2 milioni di metri cubi, quanto 163 torri di Pisa.

Le vendite di prodotti lapidei della provincia di Massa Carrara nel 2019 sono state pari a 1,8 miliardi di euro, in calo rispetto all’anno precedente del 4,7%. Se il valore dei blocchi e delle lastre tiene (+1,2%), cala invece quello del marmo lavorato (-10,4%) mentre sono in forte espansione granulati e polveri (+17,5%). Visto nel decennio 2009-2019, il settore gode di ottima salute: le vendite hanno registrato un aumento di 27,5 punti, con il valore medio passato da 751 euro la tonnellata nel 2009 a 1.414 euro a fine 2019, con redditività rispetto agli investimenti a due cifre. L’incremento maggiore lo totalizzano granulati e polveri, cioè i detriti, +41% (Camera di Commercio Massa Carrara, Rapporto 2020). E questo a fronte di un calo costante dell’occupazione: secondo il fondo Marmo, nel 1994 le aziende del settore erano 256 con 2.772 dipendenti, nel 2018 erano rimaste 175 (-31,5%) con 1.786 dipendenti (-36%).

Con questi numeri il ricatto occupazionale regge a fatica. I macchinari di ultima generazione consentono di estrarre dalla montagna un grosso blocco di marmo in 10 ore, mentre 40 anni fa sarebbero serviti 20 giorni di lavoro. «Oggi la montagna si spacca con il joystick, ma quello che preoccupa davvero è l’atmosfera da far west che si respira in queste valli – dice Gianluca Briccolani, attivista, alpinista, scrittore e fotografo – si scava oltre i 1200 metri, nel Parco e nelle zone a protezione speciale, dove sarebbe vietato. Il passo della Focolaccia è stato abbassato di 90 metri, da 1650 a 1540 m. Qui sono le multinazionali del carbonato di calcio a dettare legge, e la politica è collusa».

LA DISTRUZIONE NON È ARTE, è solo polvere, scrivono su un manifesto i giovani di Athamanta. Non è arte perché la quantità di blocchi di marmo destinati alla lavorazione artistica è infinitesima, quella per l’edilizia in calo, mentre aumenta a dismisura il volume di carbonato di calcio, cioè la polvere di marmo, purissimo, impiegato nei più svariati settori industriali, da quello alimentare al farmaceutico, dai cosmetici alla chimica.

UNO DEI TEMI CENTRALI DELLA DISPUTA sulle Apuane è la resa delle cave: il Piano Regionale Cave (PRC), la legge della Toscana del 2015, imponeva un rapporto tra la quantità di blocchi estratti e i detriti di lavorazione di 25 a 75. «In fase di revisione del PRC si voleva aumentare il minimo della resa dei blocchi al 30% – spiega la presidente di Legambiente di Carrara, Maria Paola Antonioli – ma gli imprenditori hanno trovato orecchie sensibili, ed ecco che sono state introdotte una serie di premialità che consentono di ricalcolare il volume degli scarti che possono arrivare anche al 90-95%. Ci sono bacini marmiferi, come quello di Torano, con rese molto basse da anni, che sarebbero stati chiusi senza lo stravolgimento del Prc. La situazione negli ultimi mesi è peggiorata, siamo preoccupati. Anche dall’amministrazione M5S di Carrara ci aspettavamo di più: invece il nuovo regolamento degli agri marmiferi consente di allungare le concessioni anche solo con la promessa di vaghe iniziative di carattere pubblico. Non chiediamo la chiusura totale delle cave, ma rese ragionevoli, norme stringenti per evitare frane e rischi alluvionali e la lavorazione in loco del 50% dei materiali per sostenere l’occupazione».

ANCHE IL CLUB ALPINO ITALIANO (Cai) è in prima linea contro l’assalto alle Apuane. Scrive in un documento il Cai toscano: «Rileviamo un aumento del numero delle cave all’interno del Parco Regionale delle Alpi Apuane, geoparco Unesco, e la dismisura delle quantità da estrarre pianificata dal Prc, il tutto in contraddizione con le previsioni del Piano di Indirizzo Territoriale. Sostenere la lavorazione in loco è un’altra scommessa quasi impossibile se è vero che le Amministrazioni pubbliche (su input del Prc) sono disposte a premiare chi aderisce alla filiera locale aumentando la durata delle concessioni all’inverosimile».

DA PARTE SUA, IL PARCO REGIONALE delle Apuane, a 35 anni dalla sua istituzione, discute in queste settimane il suo regolamento per le attività estrattive, con l’obiettivo di ridurre del 30% la superficie (non i volumi) delle cave. Ma a guardare la planimetria del parco, ci si accorge che è fatta a groviera: al suo interno ci sono tanti buchi quante sono le cave, che dunque insistono su aree contigue, come fossero fuori dal parco.