All’inizio erano solo in dieci, poi l’anno successivo le gallerie diventarono 200. Quadri, sculture e installazioni moderne e contemporanee avevano conquistato il loro spazio da protagoniste: erano gli anni 70, precisamente il 1974 quando a Bologna la Fiera Campionaria accolse i fermenti del momento, tramutandosi nel tempo in Arte Fiera. Così l’edizione 2024 si prepara a compiere i suoi primi cinquant’anni (dal 2 al 4 febbraio, preview giovedì), stimolando per la città mostre (a Villa delle Rose una delle più interessanti dedicata a Sergio Lombardo), incontri e «fuori percorso».

NATURALMENTE, con i suoi 196 espositori – e i ritorni di Lia Rumma, Franco Noero, Sprovieri, fra gli altri – rinverdisce la ricerca di una vocazione all’attualità: alla Main Section (proposte più classiche anche nel contemporaneo) si affiancano Fotografia e Immagini in movimento, Pittura XXI secolo e Multipli, compresi libri e design.
Quest’anno la commissione di un’opera inedita ha premiato Luisa Lambri: con Opus Novum l’autrice ha messo in connessione le tracce di Alvar Aalto a Bologna con quelle di Le Corbusier. La collaborazione con la Fondazione Furla, invece, ha portato fra i padiglioni la peruviana Daniela Ortiz con Tiro al Blanco, una installazione partecipativa sui meccanismi del potere.
In fondo, con i suoi alti e bassi, Arte Fiera– alla guida ci sono Simone Menegoi per la direzione artistica e Enea Righi per quella operativa – ha resistito ai rivolgimenti epocali tenendo testa all’appeal di Freeze, Basilea, Artissima o alle tante manifestazioni asiatiche e oltreoceano.

«LA SUA È UNA PARABOLA che ha attraversato cinque decenni, ere geologiche secondo gli standard attuali, di storia dell’arte e di mercato– afferma Menegoi –. Molto è cambiato da allora, certo; a cominciare dalle fiere, che hanno conosciuto una proliferazione e un’espansione che sarebbero state difficilmente immaginabili nel 1974, quando la kermesse bolognese aprì i battenti. Eppure, malgrado la concorrenza agguerritissima, in patria e altrove, Arte Fiera è ancora qui; e, a giudicare dalla selezione di gallerie di questa edizione (e dall’interesse presso i collezionisti che ha suscitato prima ancora di aprire) è in ottima forma. Credo che il suo segreto sia l’italianità: nel senso di offerta commerciale, in cui l’arte italiana, specialmente storicizzata, gioca un ruolo fondamentale, e nel senso della dimensione prevalentemente nazionale, a livello di gallerie e di mercato. In quanto kermesse dell’arte italiana, beneficia della qualità di quest’ultima, quasi sempre molto superiore ai corrispondenti valori di mercato. (La dice lunga, a riguardo, l’impennata dei prezzi di questo o quell’artista, una volta che il mercato internazionale arrivi a conoscerlo e ad apprezzarlo; basti vedere il caso recente di Salvo). E in quanto fiera a dimensione soprattutto nazionale, risente di meno delle fluttuazioni del mercato internazionale».
E cosa si può dire del campo così insidioso degli Nft (dopo un entusiasmo iniziale, gli investimenti sono sfumati). Forse manca l’aura di cui parlava Benjamin? «In linea di principio gli Nft – spiega ancora Menegoi – sono file digitali di cui si certifica l’unicità attraverso la blockchain, quindi l’aura dovrebbe poter aleggiare anche intorno a loro… In verità, credo che a essere stato preso troppo sul serio non sia stato Benjamin ma McLuhan, e che si sia confuso il medium con il messaggio. In questo caso, poi, il medium non è nemmeno tale, bensì una tecnologia di autenticazione derivata dalla finanza e concepita per battere moneta. La blockchain è stato l’escamotage per inondare il mercato di arte digitale per lo più scadente, innescando intorno a essa quei fenomeni speculativi incontrollabili – ascese vertiginose, crolli rovinosi – che hanno contraddistinto le valute digitali. C’è davvero da stupirsi che sia finita così? Chi proponeva arte interessante con i media digitali e con internet lo faceva anche prima degli Nft, e continua ora che sono in declino».

IL 2024 VEDE diversi sbarchi da oltre frontiera tra i padiglioni. «Le gallerie italiane ritornano perché hanno percepito una crescita e un interesse forte del collezionismo (a cui comincia ad aggiungersi una significativa componente straniera). Le gallerie estere arrivano perché ne hanno sentito parlare da colleghi italiani che stimano, o perché hanno artisti che vogliono suggerire nel loro paese d’origine: sia la parigina Marcelle Alix che la viennese Michaela Stock, ad esempio, propongono monografie di artisti italiani (rispettivamente, Ernesto Sartori e Giovanni Morbin). In tutti i casi, è un modo per loro di saggiare una fiera che non conoscevano».