Non è facile prendere le distanze da un immaginario così caratterizzato come Little Italy, sinonimo dell’emigrazione italiana negli States. Incarna, come è ben noto, l’idea stanziale dell’«american dream» che alla fine del XIX secolo attraverso l’Oceano Atlantico (tappa obbligata Ellis Island) aveva esportato certe «qualità» del Belpaese nel quartiere newyorkese di Lower Manhattan: le canzoni, il mandolino, la pasta con le polpette, le risse, il buonumore, l’intraprendenza, la manovalanza e anche le tante storie non dette tra quelle dette. Riallacciandosi alla memoria del luogo l’artista Sonia Leimer (Merano 1977, vive e lavora a Vienna), durante due lunghi periodi in residenza, ha riflettuto sui processi migratori e sulle tematiche socio-antropologiche della gentrificazione presentando al MAN Museo d’Arte Provincia di Nuoro la mostra personale Via San Gennaro, a cura di Luigi Fassi (fino al 23 gennaio 2022).

Il progetto realizzato dal MAN in partnership con l’International Studio & Curatorial Program (ISCP) di New York dove è stato presentato nel 2019/2020 (a cura di Kari Conte) e con la collaborazione di Alessandra Cianchetta docente di Architettura a Cooper Union, è vincitore della IV edizione dell’Italian Council 2018, concorso ideato dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane (DGAAP) del MiC-Ministero della Cultura per promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo. Nel corpus di opere che entreranno nelle collezioni del museo sardo il tema della memoria di un passato ormai dissolto s’intreccia con la visione di un ipotetico futuro. In questo scenario che vira al paradosso s’insinua l’attore principale – Orlando – figura chiave del teatro delle marionette, derivazione popolare della letteratura della conquista normanna confluita nella tradizione siciliana dei pupi.

A portarlo per le strade di Little Italy, in quegli stessi luoghi fotografati anche da grandi fotoreporter come Leonard Freed, Susan Meiselas e Ferdinando Scianna (l’elenco è ben più lungo), anche scenari cinematografici amati da registi come Francis Ford Coppola (Il Padrino), Robert De Niro e Martin Scorsese (che proprio a Elizabeth Street trascorse l’adolescenza) è l’italo-americano Tony (Anthony Joseph) De Nonno (1947) anche lui regista, fotografo, burattinaio e cantastorie. Nel video di 12 minuti che dà il titolo alla mostra Via San Gennaro (2019) – accompagnata dal catalogo edito ISCP e Mousse Publishing – sono confluiti anche dei frammenti del documentario girato da De Nonno sulla famiglia Manteo (It’s One Family: Knock on Wood, 1982) che per un secolo, di padre in figlio, si è tramandata a New York la gestione del teatro dei pupi dipingendo le scenografie, cucendo a mano i costumi e mettendo in scena drammi e melodrammi sempre di grande attualità, perché almeno le emozioni non cambiano nel tempo. Quando, alla fine degli anni ’80, il teatro chiuse definitivamente a De Nonno fu donata la marionetta di Orlando, quella che lui porta con sé nel video di Leimer, incarnando in un certo senso la memoria storica di un’epoca sbiadita quando percorre Mulberry Street, Baxter Street o Mott Street sotto lo sguardo talvolta divertito, altre perplesso o accigliato dei venditori di frutta e verdura e dei passanti cinesi che nello straripamento di Chinatown sono, al giorno d’oggi, gli abitanti più numerosi di quello che è stato un quartiere di immigranti prevalentemente italiani. La proiezione «futuribile» è ancora più destabilizzante perché il pupo si ritrova a camminare nel rendering di una città omologata in cui la speculazione edilizia ha cancellato le tracce del passato urbano, concentrandole in un unico palinsesto-memoriale, il Monumento per Mulberry Street, per le comunità d’immigrati (oltre agli italiani e ai cinesi c’erano gli ebrei, gli irlandesi e i tedeschi) che nel passato avevano popolato quell’area di Manhattan. La trasformazione della città diventa materia prima di lavoro per l’artista che coglie proprio nella fragilità di un materiale come le grandi bobine di carta industriale, usate copiosamente nelle piccole tipografie cinesi che pullulano oggi per le vie di Little Italy, l’oggetto-soggetto delle sue otto opere scultoree che recano il nome delle principali strade del quartiere.

Su ciascuna è impressa la stampa serigrafica delle fotografie che lei stessa ha scattato con il cellulare, nel 2019, in quelle stesse vie. Appunti veloci che si ritrovano in parte anche nella serie di acquarelli. Tracce labili messe a confronto con le caratteristiche tende parasole di plastica dei negozi che recano nomi e indirizzi in alfabeto latino mescolato agli ideogrammi cinesi.

Una sorta di riformulazione del «ready-made» che mostra il cambiamento profondo del quartiere in cui a sopravvivere è, malgrado tutto, la festa di San Gennaro. Istituita il 18 settembre 1926, meno religiosa e più pagana di un tempo, questa celebrazione trasforma Mulberry Street (chiusa al traffico per l’occasione) in uno scenario luminoso e rumoroso tra parate e fuochi d’artificio.