Gli dèi dell’Olimpo in assemblea e la musa Polimnia, in dialogo con il toccante dipinto di Cy Twombly dedicato al lamento di Achille per la morte di Patroclo (1962), accolgono il visitatore al Louvre-Lens, nel dipartimento francese del Pas-de-Calais, dove fino al 22 luglio è ospitata una retrospettiva su Omero.
Curata da Alexandre Farnoux, Alain Jaubert, Luc Piralla-Heng Vong e Vincent Pomarède, Homère è una rassegna che illustra la trasmissione dell’Iliade e dell’Odissea, i due monumenti letterari attribuiti al misterioso cantore, attraverso le arti. Duecentocinquanta opere tra reperti archeologici, quadri, gioielli e ogni sorta di oggetti nati dalla creatività umana, narrano le vicende della guerra di Troia e le peripezie di Ulisse «dal multiforme ingegno». Ricchissimo di contributi, fra cui alcuni particolarmente originali come il saggio di Pomarède su Omero quale fonte inesauribile di caricature e effetti umoristici, il catalogo pubblicato in una bella edizione da Lienart.
Abbiamo intervistato Alexandre Farnoux, docente di archeologia greca alla Sorbonne e dal 2011 direttore dell’École française d’Athènes, centro di ricerca in scienze umanistiche fondato nel 1846 e primo istituto straniero a stabilirsi in Grecia. Farnoux è anche l’autore di un prezioso volumetto intitolato Homère. Le prince des poètes (Gallimard 2010).

René Char, da lei citato nel catalogo, afferma che «un poeta deve lasciare tracce, non prove, del suo passaggio. Solo le tracce fanno sognare». Ci sono novità sulla cosiddetta questione omerica?
I dubbi che suscitano il dibattito intorno all’identità di Omero sono i medesimi fin dall’Antichità. Tuttavia, gli studiosi concordano oggi nel dire che se Omero è esistito, egli è anzitutto l’erede di una tradizione orale risalente all’età del Bronzo, che rielabora e mette per iscritto. Questa teoria, già avanzata nel I secolo d.C. da Flavio Giuseppe e ripresa nel Settecento da Friedrich August Wolf, si è consolidata grazie alle indagini sul campo di Milman Parry e Albert Lord, i quali – tra il 1933 e il 1935 – si recarono nei paesi balcanici per osservare gli ultimi bardi capaci di comporre lunghe epopee nazionali. Di recente, inoltre, gli specialisti di archeologia minoica e micenea sono arrivati alla conclusione che alcune raffigurazioni databili al 1500/1400 a.C., riprodotte su vasi e pitture murali, sono legate ai racconti degli aedi. Strumenti di analisi sempre più precisi consentono poi di individuare le alterazioni del testo connesse alla trasmissione dei poemi omerici, sebbene si debba riconoscere che gran parte del lavoro filologico sia stato svolto su papiri e manoscritti a partire dal Rinascimento.

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Sulla scia di Erodoto, Tucidide e Strabone, che lo consideravano un testimone della Grecia antica, tra Seicento e Settecento diversi viaggiatori si avventurarono alla ricerca della mitica Troade e degli scali mediterranei di Ulisse. Per Heinrich Schliemann, che fin da bambino ambiva a riportare alla luce i resti della città di Priamo, Omero era la «bibbia». Se da una parte la mostra ripercorre le tappe di quest’archeologia omerica, dall’altra presenta una vetrina sugli anacronismi nell’Iliade e nell’Odissea. Di cosa si tratta esattamente?
Un confronto tra la realtà archeologica e gli oggetti menzionati nei versi omerici – un’enciclopedia portata a termine nel 1990 ne racchiude l’intero catalogo – ha permesso di rilevare che l’insieme delle vestigia non è cronologicamente omogeneo ma si ripartisce tra XVI e VII secolo a.C. L’elmo a zanne di cinghiale di Merione, ricordato nel decimo canto dell’Iliade, corrisponde ad analoghi esemplari diffusi dal 1580/1480 al 1050 a.C. La pratica dell’incinerazione seguita dall’uso di raccogliere le ossa in un tessuto per poi riporle in un vaso di metallo – trattamento promesso da Achille alle spoglie di Patroclo –, è osservabile invece in tombe del X e IX secolo a.C. scoperte ad Eretria nell’Eubea. È dunque evidente che Omero descrive allo stesso tempo periodi molto lontani fra loro. Come ho già sottolineato, infatti, l’Iliade e l’Odissea sono l’esito di performances continuamente attualizzate, in cui ogni poeta recitante ha aggiunto dettagli utili al suo pubblico, serbando però il ricordo di elementi più antichi: tale fenomeno ne aumenta il valore, elevandoli a documenti di una memoria condivisa.

Ampio spazio è dedicato alla fortuna dei poemi omerici, dall’Antichità al Novecento. Com’è cambiata da un’epoca all’altra la fascinazione per l’Iliade e l’Odissea e il caleidoscopico mondo che raccontano?
Ci sono scene, come ad esempio la «prova dell’arco» di Ulisse al suo ritorno ad Itaca, che sono poco rappresentate nell’Antichità e che ritroviamo invece durante il Rinascimento. Nell’esposizione si possono ammirare diverse opere ispirate a quest’episodio chiave dell’Odissea, dal quadro di Ruggiero de Ruggieri all’arazzo della Manifattura dei Gobelins. Alcuni temi, al contrario, si ripetono nel tempo ma vengono illustrati in maniera differente. Gli artisti che dalla fine del Seicento al Settecento si sono ispirati alla «collera di Achille» non potevano creare quell’ambientazione derivata dalle acquisizioni archeologiche di cui nel secolo successivo beneficiarono pittori quali Louis Édouard Fournier.

Tra gli oggetti più emblematici vi è il quaderno in legno e cera dello scolaro Theodoros, rinvenuto in Egitto e datato approssimativamente al 600 d.C. che – come numerosi frammenti di papiro – conteneva esercizi sui temi dell’Iliade e dell’Odissea. I poemi omerici erano anche uno strumento pedagogico?
Direi che sono stati i libri scolastici per eccellenza in ambito greco e romano ma anche bizantino. Dopo la caduta di Costantinopoli, in Occidente venivano utilizzati nelle scuole religiose. Il magistero di Omero copriva ogni aspetto della vita, fino a trasformarsi in omeromania o, secondo un’espressione coniata da Strabone, in omerofilia.

Il più fervente fra gli omerofili era Alessandro Magno, il quale non solo si identificava con Achille ma, come riportano Dione Crisostomo e Plutarco, conosceva a memoria l’Iliade, di cui possedeva una copia emendata da Aristotele e custodita dentro a una scatola sottratta al re persiano Dario III. L’omeromania si è spenta o continua ad alimentare l’immaginario collettivo?
È sufficiente menzionare la notorietà di film come Troy con Brad Pitt per capire che la guerra di Troia è ancora una referenza universale, benché meno cosciente e colta rispetto al passato. Il successo della rassegna in corso al Louvre-Lens presso i bambini, cui sono familiari i personaggi di Achille e Ettore, dimostra che la materia omerica ha un futuro.

Sia in Francia che in Italia, però, l’insegnamento delle lingue antiche viene considerato obsoleto. Non pensa che il profondo tributo dell’epica greca alla cultura europea rischi di dissolversi?
Oggi la conoscenza del mondo omerico si diffonde anche attraverso i fumetti e i videogiochi, come d’altra parte nell’Antichità e nel Medioevo non tutti leggevano Omero direttamente dal testo greco. Dunque, non bisogna sottovalutare la forza dei mezzi popolari rispetto a quelli accademici, nonostante i primi possano alterare e in qualche modo impoverire l’essenza dell’epica. Ciò che invece bisogna evitare è la scomparsa degli specialisti. Sarebbe catastrofico ritrovarsi un giorno senza studiosi che sappiano leggere un papiro. Io resto ottimista, finora la trasmissione dell’Iliade e dell’Odissea non si è mai interrotta.