Maledetta Toscana, dove politica e animi infiammati possono tradursi in qualche “vaffa”. Specie se di mezzo c’è la Resistenza. Il protagonista della querelle che sta tenendo banco a San Miniato è nientemeno che Renzo Ulivieri, ex tecnico di Sampdoria, Cagliari, Bologna e Napoli, ora presidente dell’Assoallenatori ed esponente toscano di Sel, anche nel paese dove è nato. Motivo del contendere la decisione del sindaco democrat Gabbanini di eliminare dalla facciata del Municipio le due lapidi sulla strage del Duomo di San Miniato, uno dei tanti fatti di sangue nell’Italia del ’44 fra ritirata tedesca e avanzata americana, quando una granata uccise ben 55 fra uomini, donne e bambini.

La tragedia è scolpita nella memoria collettiva della città. E’ stata raccontata magistralmente dai sanminiatesi Paolo e Vittorio Taviani ne “La notte di San Lorenzo”. E fra certezze immediate (una mina nazista in Duomo) e assai tardivi ripensamenti (la prima ipotesi di una bomba statunitense entrata in chiesa da una finestra è del 1954), non ha ancora una memoria condivisa. Così le due lapidi esposte fino a mercoledì raccontavano due storie diverse, segnalando in un caso la responsabilità tedesca, nell’altro quella alleata. Comunque sia, la rimozione delle due targhe, giunta a ridosso del 25 Aprile e quasi in sordina, non è davvero piaciuta a Ulivieri. Che prima sui social network, e poi durante un incontro fortuito con il sindaco Gabbanini, ha espresso senza mezzi termini il suo pensiero. Ricevendo per tutta risposta una querela.

Ma cosa ha scritto di tanto offensivo Ulivieri su facebook? “Con questo atto – denuncia Renzaccio – manifesti la volontà di voler rimuovere la Memoria. Una cosa invece potresti fare, molto semplice: alzare la mano e dire ‘scusate, mi sono sbagliato’. Se così non fosse, se tu volessi perseverare in una scelta che andrebbe a toccare la sensibilità e i sentimenti di molti cittadini, e se neanche i tuoi amici di partito riuscissero a farti cambiare idea, io spero che tu abbia almeno il buon senso di non presenziare alle manifestazioni del 25 Aprile, e nemmeno alla commemorazione dei caduti in Duomo. A me che, bambino, ero in quella chiesa, seppure a malincuore, non rimarrebbe altro che, con garbo e con la massima educazione che mi rimarrebbe (poca), gridarti, con toni bassi, anzi sommessamente: “Sindaco Gabbanini, ma vai a…”. Omettiamo il finale, vista la suscettibilità del sindaco.