Finché si tratta di cene, inviti mancati e foto ricordo Giorgia Meloni se la cava con le acrobazie dialettiche. Nessuna irritazione per non essere stata invitata da Macron all’Eliseo con Zelensky e Scholz: la sua è stata piuttosto una critica, franca ed esplicita come conviene tra alleati. Se l’invito fosse arrivato forse avrebbe declinato, di certo avrebbe «consigliato di non fare quella riunione perché a noi sull’Ucraina interessa dare un messaggio di compattezza». A Parigi i capi di Stato erano due, a Bruxelles 27: quella era la foto da scattare. Poi, sono finiti i tempi in cui l’Italia si accontentava «di una foto e di una pacca sulla spalla senza considerare i propri interessi». «Io vado al sodo e il sodo è questo», scandisce la premier in conferenza stampa sventolando le conclusioni del Consiglio europeo delle quali si dichiara «estremamente soddisfatta».

LA PRESIDENTE ITALIANA non si limita al repertorio: invia due messaggi, uno tra le righe, l’altro esplicito, ben più affilati. Nello spiegare perché la compattezza dell’Unione è importante ammette senza perifrasi che lo schieramento a fianco di Kiev è molto più popolare tra i governanti che non tra i governati, e non era mai successo primo che un capo di governo Ue o Nato lo facesse: «Signori, parliamoci chiaro. Non è facile per nessuno di noi gestire il tema dell’Ucraina con le nostre opinioni pubbliche. Le persone sono spaventate e preoccupate. Quel che facciamo per sostenere l’Ucraina, reputandolo giusto, sul piano del consenso può non essere la soluzione migliore».

NON SONO PAROLE leggere. Il significato implicito è al contrario pesante. Gli italiani sono già in maggioranza contrari all’invio delle armi. Gli altri governi alleati non se la passano molto meglio. Conviene pensarci bene prima di provare a umiliare l’Italia. Il risultato potrebbe essere non controllare più un’opinione pubblica già ostile alla belligeranza di fatto. Se dovesse succedere il contagio, come nel domino, si estenderebbe rapidamente in tutta l’Unione.

Il secondo segnale, quello esplicito, è anche più contundente: «Non c’è un’Europa di serie A e una di serie B. Chi dice che c’è una prima e una terza classe dovrebbe ricordasi del Titanic. Perché quando la nave affonda non importa quanto hai pagato il biglietto». Qui non si tratta più di Ucraina ma di economia e l’evocazione del naufragio per eccellenza stride con la soddisfazione piena che la premier ostenta. Fatto sta che le conclusioni del Consiglio, pur con i correttivi che Meloni assicura di aver imposto, prefigurano proprio una divaricazione tra i Paesi più ricchi, con maggiore spazio fiscale, e quelli in condizioni opposte. L’allentamento delle norme sugli aiuti di Stato è già nero su bianco, anche se verrà definito nei particolari nel Consiglio di marzo o forse di giugno. L’Italia ha ottenuto che venisse specificata la natura «mirata e temporanea» degli aiuti ma è un pannicello caldo.

Di Fondo sovrano europeo per fronteggiare la crisi e riequilibrare il quadro, cioè della principale richiesta dell’Italia, non se ne è parlato proprio, anche se la premier considera un successo l’aver chiesto alla Commissione europea di «fare una proposta che vada in direzione delle esigenze strategiche europee». È in compenso confermata la flessibilità sui fondi europei già esistenti, dunque anche sul Pnrr, ma è un risultato che era già stato raggiunto in cambio proprio del semaforo verde sugli aiuti di Stato. Tra le misure per fronteggiare la crisi innescata dalla guerra da un lato e la revisione dei trattati europei a partire da Maastricht dall’altro, si sta ridefinendo la fisionomia Ue. L’allusione al rischio di disastro della premier prova che la preoccupazione italiana di uscire penalizzata da un’Europa a diverse velocità è in realtà fortissima.

IL RISULTATO CHE PIÙ soddisfa l’italiana è sul fronte dell’immigrazione. Raggiante, sottolinea che per la prima volta l’Europa ammette che si tratta di un problema europeo a cui la Ue deve dare una risposta comune. Gioisce per la segnalazione, nelle conclusioni, della «specificità delle frontiere marittime» anche se in realtà si allude soprattutto alle «attività di ricerca e soccorso». La leader che sognava il blocco navale non ha del tutto torto ma neppure ragione. Una sterzata a destra, verso il sogno, anzi l’incubo, della Fortezza Europa forse c’è davvero. Ma di cambiamenti concreti, per quanto interrogata più volte dai cronisti, non riesce per ora a elencarne neanche uno.