«Non siamo marziani e vedersi aiuta a capirlo»: quel che Giorgia Meloni intende dire, in realtà, è che lei e il suo governo non vengono solo dallo stesso pianeta ma dallo stesso continente europeo. Al termine della girandola di incontri la premier italiana è esplicita più di come non si potrebbe: «L’Italia vuole partecipare, collaborare e difendere l’interesse nazionale dentro alla dimensione Ue, insieme agli altri Paesi». Va anche oltre. Riparte da dove si era fermato Mario Draghi all’ultimo Consiglio europeo. Si dichiara «molto contenta» per l’esito della giornata anche sul piano dei rapporti personali e sottolinea l’importanza di «dare il prima possibile concretezza alla soluzione della crisi energetica e al price cap». Draghi non avrebbe saputo dirlo meglio e anche quando si scosta un po’ dalla linea del predecessore, sul Pnrr, la premier lo fa con massima felpatezza: «Abbiamo parlato di come spendere al meglio i fondi del Piano anche a fronte dell’aumento delle materie prime e dell’inflazione». Giorgia Meloni l’Europea.

GIORNATA PIENA. Prima il pranzo con Paolo Gentiloni, poi un’ora di incontro in italiano con la presidente del Parlamento Roberta Mestsola che al termine esulta: «Totalmente allineati sul sostegno all’Ucraina. L’Italia continuerà a svolgere un ruolo centrale nel processo decisionale Ue». Poi l’incontro clou con la presidente della commissione Ursula von der Leyen, il cui commento è decisamente più tiepido: «Grazie Giorgia per il forte segnale lanciato con la tua visita. È stata una buona occasione per scambiare opinioni sui temi critici». Per chiudere in bellezza il presidente del Consiglio europeo Charles Michel.

LA DIFFERENZA tra i toni di Metsola e quelli di Ursula von der Leyen è eloquente. Sui «temi critici» il percorso è ancora agli inizi e la distanza resta ampia, soprattutto con la Germania e non solo sull’immigrazione che è comunque il fronte oggi più delicato. Il quadro, insomma, è tutto da definire ma per quanto riguarda la cornice ieri un avvio di disgelo c’è stato, soprattutto perché l’italiana portava come credenziali e biglietto di presentazione tre impegni che per l’Unione europea sono pregiudiziali: il pieno sostegno all’Ucraina, la promessa di muoversi in difesa degli interessi nazionali ma nel pieno rispetto dei trattati e dunque senza cambiare rotta sui conti pubblici, la rinuncia a ogni accento sovranista e critico nei confronti dell’Unione. Non è moltissimo ma è un punto di partenza che consente alla presidente del consiglio di affrontare con maggiore tranquillità la prima vera prova del suo governo, dopo il pessimo prologo col decreto anti-rave, la manovra e il caro bollette.

IL CONSIGLIO DEI MINISTRI si riunirà oggi per rivedere il bilancio con la Nadef e impostare, pur non varandole ancora, le prossime misure di sostegno sulle bollette. Il deficit verrà portato dal 3,1 previsto da Draghi al 4,5%: qualcosa, comunque lo si voglia definire, di fatto si scosta. Dall’Europa, tra RepowerEu e avanzi dei fondi di coesione, arriveranno poco più di 7 miliardi. Il «tesoretto» ereditato da Draghi ammonta a 10 miliardi. Nel complesso la manovra dovrebbe stare fra i 30 e i 40 miliardi, più vicina alla cifra più alta. Per confermare i provvedimenti di Draghi, in particolare il taglio delle accise sui carburanti per 30 centesimi al litro e l’azzeramento degli oneri di sistema sulle bollette, saranno stanziati subito 7 miliardi. Il grosso della manovra andrà poi a sostenere il prossimo decreto Aiuti: parte da 15 miliardi ma crescerà. È vero infatti che il prezzo del gas è calato del 12,9% ma è anche vero che per novembre-dicembre è previsto un aumento tra il 20 e il 25%.

IL PROBLEMA DI COME fare cassa resta e sarà su questo che si misurerà Giancarlo Giorgetti al debutto come ministro dell’Economia. A sorpresa non ci sarà la cancellazione delle multe per i non vaccinati, misura che però potrebbe rientrare in un provvedimento successivo. Ci sarà in compenso la «manutenzione straordinaria del reddito di cittadinanza», come viene pudicamente definita la sforbiciata drastica, e del Superbonus. Il progetto, alla vigilia, è togliere la possibilità di accesso al reddito a tutti quelli che sono in grado di lavorare, e come semplice «manutenzione» proprio non c’è male. Molto più misurato l’intervento sul Superbonus: taglio del 10% e rimodulazione della platea.