Quando ancora la parola globalizzazione non era stata inventata; quando la parola migrazione si riferiva a quelle migliaia di italiani che traversavano mari e frontiere per sfuggire a una vita di fame e miseria c’era invece qualcuno che compiva il percorso inverso e in Italia trovava rifugio e accoglienza portando idee e occasioni di crescita. Anche in zone del tutto inaspettate. Una di queste storie sorprendenti e dimenticate è quella raccontata da Antonio Forcellino in La ceramica sugli scogli (edizioni La Conchiglia, pp. 302, euro 22).
Oggi le ceramiche di Vietri – meno di diecimila anime e dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità insieme agli altri paesi della costiera amalfitana – sono famose ma a farle diventare tanto note al di fuori del sud Italia fu una coppia di ebrei tedeschi rifugiatisi lì a metà degli anni venti.

UNA STORIA ricostruita con passione da Antonio Forcellino, architetto, importante restauratore di arte rinascimentale. Max Melamerson in realtà era nato in Polonia ma quando si stabilisce in Costiera ha già trascorso molti anni nella turbolenta e vivace vita culturale tedesca ed è proprio in Germania, ad Amburgo, che incontra Flora Haag. Di quell’impeto e di quell’impegno sono entrambi protagonisti: «Io sono nato a pochi metri dalla casa abitata per un decennio da Max e Flora Melamerson – scrive Forcellino – e dalle finestre vedevo le stesse montagne e lo stesso mare che vedevano loro, sentivo gli stessi odori di primavera. Nessuno meglio di me può capire l’incanto di una vita in riva al Mediterraneo. E prosegue poco più avanti: «Nonostante questo, non posso fare a meno di stupirmi pensando alla trasformazione radicale della vita di Max e Flora, immaginarli seduti ai banchetti della faenzera (la faenzera erano una serie di vasche costruite vicino alle sorgenti d’acqua dove si lasciava la creta a sciogliere prima delle successive lavorazioni ndr) e, al tempo stesso, immaginarli nelle poltrone del Grosses Schauspielhaus dove, con i raffinati intellettuali berlinesi e la bellissima attrice Maria Horscha, ridevano amaramente del mondo intero, nella speranza di costruirne uno migliore».
Eppure fu proprio a Vietri che «procedendo nell’esplorare le potenzialità del colore e della forma astratta, i Melamerson arrivarono a metà degli anni trenta a mettere a punto questa tecnica dello spennellato che diventò immediatamente il segno di una rivoluzione di gusto nella ceramica artigianale». «Nel giro di soli due anni – scrive l’autore – le ceramiche Ics, Industria Ceramica Salernitana, conquistano l’attenzione della critica e del mercato italiano e, in breve tempo, si affermano presso i mercati stranieri. Max prende contatti con esportatori europei e americani e con la Rinascente di Milano, che ha un centro di arredamento d’avanguardia».

NEL MAGGIO del 1929, Domus, il mensile di arredamento di maggior prestigio in Italia sostiene già che «queste ceramiche meritano di essere fatte conoscere perché nella loro apparente semplicità hanno pregi non comuni e una loro impronta caratteristica». Max Melmerson – prosegue – «ha saputo trasfondere un elemento moderno e originale negli antichi tipi che erano prevalentemente correnti, e ha creato nuove forme artistiche e decorative. Ha chiamato intorno a sé artefici da tutto il mondo, ma si è valso infine soprattutto dei bravi operai locali, così che quest’industria, fatta rifiorire e prosperare da un forestiero conserva la sua impronta italiana, anzi tipicamente regionale. Non primeggia un artista ma vi è una grande unità di stile e una giusta comprensione dei valori locali e degli antichi modelli». Ma La ceramica sugli scogli è qualcosa di più del racconto di un’esperienza produttiva e artistica, è un viaggio nel tempo e nei luoghi.

LA COPPIA proveniva da importanti esperienze culturali, il cabaret berlinese e la frequentazione delle avanguardie figurative tedesche. Due intellettuali che nella Vietri di quegli anni fascisti costruirono una realtà particolare: artisticamente e commercialmente. E umanamente: Mosè Melamerson per i vietresi sarà semplicemente «il signor Max» mentre di Flora ricordano i vestiti bianchi e l’abitudine di fare il bagno al mare tutte le mattine prima di andare a lavorare. Di loro la gente del paese dice, anche di fronte a una indubbia estraneità – che niente aveva a che fare con l’ebraismo – che «sono tanto gentili e salutano loro per primi quando incontrano qualcuno per strada».
Nel giro di pochi mesi Max apre una fabbrica che dà lavoro a quindici operai (12 maschi e 3 femmine). A tre mesi di distanza, nel gennaio del 1927, gli operai sono diventati venti. Ma i Melamerson non sono gli unici forestieri a rifugiarsi a Vietri, la Costiera e Capri «inaugurarono un nuovo tipo di immigrazione»: è con l’arrivo della coppia che «inizia una fase nuova – riporta Forcellino – segnata dall’arrivo massiccio degli ebrei cacciati dal clima persecutorio che incalza la Germania e che sembrava non dover toccare quella parte dell’Italia».
La Ceramica sugli scogli ricostruisce così il percorso che ha condotto Max, Flora e i loro figli, a Marina di Vietri dalla Germania, dove il nazismo si stava affermando in modo sempre più violento, all’Italia oramai fascista ma sulle cui sponde del Mediterraneo sembrava impossibile potesse giungere la violenza e la persecuzione. «Melamerson – spiega l’autore – impegnato già da sempre nella lotta all’antisemitismo, aveva intuito per tempo quello che stava succedendo in Germania, la sua condizione di recente immigrato dall’est lo rendeva meno sicuro della sua integrazione come invece accadeva ai familiari di Flora, non per niente aveva cambiato il nome da Mosè in Max».

QUELLO CHE i Melamerson importarono a Vietri fu anche un modo diverso di lavorare con gli operai valorizzando le capacità degli artigiani e coinvolgendoli nel processo creativo: «la perfetta conoscenza del materiale e una sensibilità modernissima sul valore della sperimentazione formale fecero di Vietri, intorno al 1935, il centro europeo più all’avanguardia nella produzione della ceramica». A volte, anche se dimenticati, la storia offre i suoi paradossi: è proprio la fabbrica dei due ebrei tedeschi che produrrà le mattonelle di ceramica necessarie per la nuova pavimentazione di Palazzo Venezia dal cui balcone si affacciava Mussolini negli anni del consenso al regime.

ALLA FINE i Melamerson si sbagliarono: furono condotti nel campo di internamento per ebrei stranieri a Ferramonti di Tarsia vicino Cosenza, ma si era oramai nel 1943, e lì verranno liberati dagli anglo americani. Ma è con documenti, fotografie e memorie unite a una profonda conoscenza del territorio che Forcellino ricostruisce anche il «prima»: dall’arrivo nel 1926, alla crescita e alla fioritura della produzione, alla guerra, all’internamento e agli anni successivi. Max muore a Roma nel 1948: «l’uomo che aveva attraversato da Suwalki tutta l’Europa, tutte le guerre e le utopie del secolo trovandosi sempre al centro di ciò che era vivo e fertile non ce l’aveva fatta a superare le fatiche dell’internamento».
Solo allora Flora torna in costiera: «Roma era vuota per lei, i suoi legami più significativi erano a Vietri, legami fortissimi con le persone e i luoghi che neppure il saccheggio erano riusciti ad allentare. Persone e luoghi che avevano cercato anche di proteggerla quando era stato necessario». A Vietri nessuno ricordava la vicenda dei Melamerson, il merito di Antonio Forcellino è di averla ricostruita con rigore, a partire dai ricordi del luogo e da una ricerca «iniziata per caso dalla tesina di una liceale, mia figlia, per il giorno della memoria».