Affronterò il non semplice tema che mi è stato suggerito dal preferito dei miei lettori. È giusto votare anche quando nessuna delle proposte politiche che ci vengono offerte ci sembra convincente, condivisibile? L’argomento impugnato, più o meno, è questo: certo, caro elettore, non apprezzi alcuno dei candidati e dei partiti o movimenti in lizza. Ma non conviene sostenere comunque chi rappresenta il “meno peggio” rispetto alla possibile vittoria di chi va considerato il “peggio” vero e proprio?

La controdeduzione però non possiamo ignorarla facendo spallucce, eccola: se continui a premiare con il tuo voto chi non riesce proprio a sollevarsi da quella insoddisfacente, irritante condizione di insufficienza che solo se paragonata ad un male più grave può essere accettata, ebbene non si otterrà mai alcun miglioramento, né l’eventuale venuta in campo di un soggetto nuovo, forse capace di sorprenderci positivamente. In fondo, poi, siamo in democrazia: governi pure per un periodo il verace peggiore. Chi perde imparerà qualcosa dalla sconfitta è cercherà di correggersi una buona volta!

Secondo questo ragionamento votare il “meno peggio” significa in realtà favorire il peggioramento generale della politica, rinunciare a significare, con la propria astensione, una critica radicale verso i mali dell’intero sistema della rappresentanza democratica. (E forse, anche, una particolare insoddisfazione per chi, relativamente più vicino alle nostre idee, sentimenti, desideri, ci delude profondamente per le sue lacune, o scelte per noi del tutto sbagliate).

Non ne parlo in astratto. Per quel che vale mi sono trovato realmente di fronte a questo dilemma nelle ultime ore. Da pochi mesi sono un cittadino residente a Mentana, Comune della grande area metropolitana romana. Ci abito da un po’ ma non ho mai seguito con attenzione la politica locale. Aveva senso esercitare il mio diritto di voto con un tale grado di scarsa conoscenza delle liste, dei programmi, dei candidati e candidate?

Alla fine, però, vedendo che il sindaco uscente di centro-sinistra fronteggia una lista 5stelle, una lista civica, e soprattutto un candidato sostenuto da tutta la destra, da Forza Italia a Fratelli d’Italia, mi sono accodato al primo dei ragionamenti. E ho messo la mia crocetta sul nome di un amministratore sconosciuto. Un tipico voto “contro”. Contro la possibilità che si affermi una coalizione con la destra che considero francamente “peggiore”.

Certo, ho visto qualche nuova opera pubblica, qualche strada asfaltata, e quando ho avuto bisogno di pratiche in Comune ho conosciuto impiegate e impiegati molto gentili. E persino procedure relativamente veloci. Insomma, spero di non aver del tutto “sprecato” il mio voto.

Forse, però, l’interrogativo da approfondire, è un altro. Scrivo subito dopo la chiusura dei seggi, e un dato poco discutibile sembra l’ulteriore calo della partecipazione al voto. Il che vuol dire che il secondo dei ragionamenti da cui sono partito – è un male votare il “meno peggio” – è piuttosto popolare. Tuttavia, a parte qualche osservazione rituale di rammarico, non sembra proprio che la crescita del partito di chi il suo voto se lo tiene stretto, stia producendo qualche significativa riflessione nei partiti e movimenti che vedono rimpicciolirsi di elezione in elezione il serbatoio dei consensi.

Quando la politica non funziona non ci si può illudere che le cose si riaggiustino solo votando o meno. Bisogna avere la voglia di impegnarsi direttamente nella ricerca di nuove idee, di nuove analisi della realtà, di pratiche sociali e politiche efficaci.
Bella scoperta, monsieur de La Palice! Obietterà il lettore preferito….