«Portate fuori i vostri morti! Portate fuori i vostri morti!», urla una voce rotta e catarrosa nel preludio di The Sick, the Dying… And the Dead, il brano che dà il titolo al nuovo album dei Megadeth uscito sei anni dopo il discusso e discutibile Dystopia; sei anni di crisi economiche, pandemie, guerre e la malattia di Dave Mustaine, un tumore alla gola dal quale il frontman è guarito e che gli ha lasciato intatta quella magnifica voce così cattiva e velenosa.
Un preludio che apre una canzone pestilenziale, una danza macabra sulla tomba del mondo, senza tuttavia nessuno slancio epico, solo la constatazione neanche troppo cinica dell’orrore, contrappuntata dalle note precise e crudeli della chitarra di Kiko Loureiro e soprattutto del basso di Steve di Giorgio dei Testament, che ha sostituito con la sua musica le tracce già registrate da David Ellefson, allontanato dalla band che contribuì a fondare a causa di uno scandalo sessuale. È percepibile questa rimozione, quasi un’operazione chirurgica sul corpo dell’album; eppure giova all’opera questo «trapianto mostruoso», e non solo per la maestria di Di Giorgio, ma perché sembra aggiungere alle canzoni qualcosa di alieno e innaturale, una suggestione di sofferente convalescenza che alimenta la violenza e la rabbia consapevole, ricercata, talvolta sublimata in un disprezzo sguaiato, delle 12 canzoni (più due cover di Sammy Hagar e dei Dead Kennedys come bonus track) che compongono quello che è il lavoro più ispirato e potente dei Megadeth da Countdown to Extinction.

Poi il mostruoso delirio militaristico di onnipotenza di Night Stalkers, alla quale partecipa Ice-T. La spaventosa, oggi così sinistramente attuale, Dogs of Chernobyl

NON CI SONO brutte e nemmeno trascurabili canzoni in The Sick, The Dying… And The Dead, che prosegue con una furia ipercinetica trash metal purissima invece ancora contenuta nel primo brano: l’esaltazione nichilista di Life in Hell («io sono tutto ciò di cui ho bisogno, vivrò e morirò all’inferno». Poi il mostruoso delirio militaristico di onnipotenza di Night Stalkers, alla quale partecipa Ice-T. La spaventosa, oggi così sinistramente attuale, Dogs of Chernobyl con i suoi macabri, terrificanti dettagli sulla morte per radiazioni («orifizi sanguinano, gambe che si indeboliscono, organi che si liquefanno»).

LA FIAMMANTE (di corpi umani al supplizio) e macabra Sacrifice. La «scimmia sulla schiena» della tossica, acida Junkie. L’intermezzo psichiatrico di Psychopathy. Il desiderio e l’estasi dionisiaca dello spazio profondo in Mission to Mars. Conclude la furiosa, un manifesto del metal dei Megadeth, un’allegoria sulla musica e non un’apologia della violenza, I’ll be Back («ti colpisco il cranio finché non restano più denti, un’arma mortale che ti polverizza la testa»).
The Sick, the Dying… And the Dead è un’altra prova della salute di un genere che sopravvive agli anni , che talvolta si suicida assecondando le mode per poi risorgere come un rancido e arrabbiato non-morto. L’heavy metal, in tutte le sue declinazioni, sta tornando a imporsi persino tra i giovani ma non si tratta di una effimera tendenza o di nostalgia. Il metal torna perché necessario, la musica forse più adatta come colonna sonora dei nostri tempi di guerre, malattie e crisi climatiche; la dimostrazione di una rabbia e volontà di potenza (anche solo quella di sopravvivere in un mondo sempre più ostile) che si vorrebbero invece contenute, anestetizzate. Così come altre band che hanno fatto la storia del metal, i Megadeth hanno ritrovato l’ispirazione, la necessità di fare musica, perché c’è un nuovo pubblico che ha bisogno più che mai di ascoltarla, di trovarvi consolazione, di assordare il presente affinché si taccia.