Adesso c’è un’alternativa per chi trova l’Alta Velocità Torino-Milano-Roma troppo costosa: arrivano i megabus. L’omonima compagnia, operante già da oltre un decennio in Usa e in Nord Europa, avvia infatti la sua attività nel centronord del nostro paese, con automezzi che trasportano un centinaio di persone, un prezzo low cost di 15 euro a tratta e tempi poco meno che doppi rispetto a quelli della AV. Ma con un inconveniente non da poco per le infrastrutture e l’ecologia del Belpaese: lo sdoganamento, pure incentivato ed istituzionalizzato, dell’incremento del traffico collettivo su gomma; con tanti saluti ai problemi di inquinamento e congestione connessi.

Esulta – insieme al governo – l’Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori, che auspica addirittura una forte crescita del comparto; sistema che invece, secondo l’ultimo Piano Generale Nazionale della Mobilità e dei Trasporti (2001, ormai preistoria), doveva essere addirittura ridimensionato fino all’abbandono.

Colpisce su questi temi (come su molto altro) l’insipienza e l’ignoranza del governo, soddisfatto; che non perde occasione per mostrare la propria incapacità e miopia politica, non solo sui temi territoriali ed infrastrutturali, ma in generale su qualsivoglia capacità di esprimere uno straccio di programmazione innovativa ed orientata ai problemi reali. A meno che questa capacità di vedere solo nel brevissimo periodo (il treno costa troppo? Prendete l’autobus!) senza alcuna strategia economica, né lettura delle conseguenze, non sia intenzionale; dettata dagli interessi finanziari speculativi, legati a varie lobby, non solo massoniche; evidentemente in grado di determinare le azioni dell’esecutivo.

A parte infatti l’iniquità sociale del treno “più moderno e confortevole” accessibile solo agli abbienti (con sperequazioni esasperate dall’abolizione della quasi totalità degli intercity e interregionali) – e al di là del sostegno all’aumento di vettori programmaticamente superati e ad alto impatto, come i grandi bus – è da tempo che si registra il ritorno, soprattutto privato, al traffico su gomma, come conseguenza dei nuovi assetti ferroviari a dominanza TAV, e delle nuove condizioni funzionali e tariffarie.

Da Bologna o da Firenze, per esempio, raggiungere Roma e Milano in treno, frequentemente o periodicamente, è diventato sconveniente da quando gli Eurostar si sono ridenominati “Alta Velocità”, con abbassamento di qualche minuto nei tempi di percorrenza e costi del biglietto di viaggio più che raddoppiati. Il ritorno alla mobilità privata su gomma – specie della domanda a più forte connotazione sociale – riguarda il traffico regionale e locale del centro nord, per i motivi citati; con un generale sbilanciamento degli investimenti verso la modalità Alta Velocità, rispondente a quote assai basse dell’utenza. Ma avviene anche al sud, dove a fronte di incredibili tagli al settore, anche per la regionalizzazione del trasporto locale su ferro, si è registrato un crollo generalizzato degli investimenti.

In realtà, come per la politica urbanistica, una politica dei trasporti manca totalmente, fin dall’avvento nel 2001 della berlusconiana legge Obiettivo. Che oggi Cantone definisce “criminogena” e principale alimento “dell’enorme corruzione nazionale”. Ma che Renzi e Del Rio non hanno abolito, ma solo ridimensionato; solo per renderla più credibile dal punto di vista della credibilità economico finanziaria. Mentre giace in Parlamento la proposta di legge sul contenimento del consumo di suolo, si persiste con le vecchie logiche legate alle grandi opere inutili (compreso l’assurdo e devastante Sottoattraversamento TAV di Firenze, bloccato dalla magistratura ed evidentemente abusivo, progetto che Renzi conosce bene, ma non si decide a cancellare).

Oggi il rilancio del traffico su gomma collettivo costituisce l’ulteriore corollario di tutto ciò. Con tanti saluti all’ecologia e buona pace, oltre che del Santo Padre, anche di quegli eco-ottimisti, che non mollano il partito della nazione, ostinandosi a vedere il “bicchiere mezzo pieno”. Le condizioni sociali, economiche e territoriali impongono invece il ritorno a una categoria tanto ignorata quanto invisa al nostro premier: la pianificazione. Senza una programmazione territorializzata, mirata al paesaggio, anche le istanze della green economy e della smart city diventano occasioni per le scorrerie della speculazione finanziaria, più o meno corrotta, più o meno criminale.