Gioco, partita, incontro. Il primo procedimento penale contro Mediterranea si è concluso ieri. La Giudice per le indagini preliminari di Agrigento Alessandra Vella ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dai pm siciliani il 28 gennaio 2020. Il comandante Pietro Marrone e il capomissione Luca Casarini non andranno a processo per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e disobbedienza all’ordine di una nave da guerra. I fatti risalgono al 19 marzo 2019: Mediterranea aveva salvato 50 naufraghi e stava rientrando a Lampedusa quando il pattugliatore Paolini della guardia di finanza le intimò l’alt. «Io non spengo nessun motore», rispose Marrone.

QUELL’ORDINE che a un uomo di mare sembrò subito pericoloso e assurdo, si è rivelato anche illegale. Per i pm arrivò al tenente Gabriele Cusato, a capo della Paolini, dal colonnello Alessandro Santarelli, comandante della stazione navale della guardia di finanza di Palermo. Ma non proveniva né da un’autorità giudiziaria, come detto quella notte, né era basato su una norma giuridica, come sostenuto successivamente. Anche perché nessuna norma prevede il divieto di ingresso nelle acque territoriali di un’imbarcazione italiana. «La coincidenza è che la nave militare a cui abbiamo disobbedito era in servizio per Frontex. Quelli che hanno tentato di fermarci sono oggi sul banco degli imputati per deportazione e violazione dei diritti umani», commenta Luca Casarini, facendo riferimento alle accuse mosse martedì scorso a Bruxelles contro il direttore di Frontex Fabrice Leggeri.

La nave Mare Jonio © Mich Seixas

I PM non hanno invece ricostruito la catena di comando superiore a Santarelli. Nelle carte si legge solo che tre ore prima dell’alt, alle 2.45 di notte, a Roma ci fu una riunione tra il centro per il coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) e alcune autorità, tra cui Matteo Piantedosi, allora capo di gabinetto del ministro dell’Interno Salvini e oggi prefetto della capitale. Altre ombre sull’operato delle autorità italiane riguardano la nave militare Capri. Ancorata a Tripoli ufficialmente per «supporto logistico e addestramento» dei libici, secondo le prove raccolte dai pm sembra essere il «centro decisionale» e «operativo di comando» della guardia costiera libica. Avrebbe quindi un ruolo attivo nei respingimenti in un paese che, ribadiscono i magistrati, non è un porto sicuro.

«QUANDO dei giudici metteranno sotto inchiesta il governo italiano e le autorità europee per questa complicità?», scrive Mediterranea. Contro l’organizzazione rimangono aperti otto procedimenti penali che coinvolgono tre comandanti, due capi missione e un armatore. Porteranno a qualcosa? Finora tutti i processi contro le Ong attive nel Mediterraneo sono finiti con un buco nell’acqua. L’ultimo non luogo a procedere è stato disposto il 4 novembre scorso verso Mark Reig Creus e Ana Isabel Montes Mier, comandante e capo missione di Open Arms. A marzo 2018 avevano salvato 218 persone ma erano stati incriminati prima per associazione a delinquere e poi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata.