«Con una mail delle 11.28 siamo tornati a chiedere al Centro di coordinamento marittimo italiano un Pos, cioè il porto sicuro di sbarco», annunciavano ieri mattina dalla Mare Jonio, la nave di Mediterranea bloccata a 13 miglia da Lampedusa con 34 dei 98 naufraghi salvati mercoledì. «Nel testo abbiamo ricordato le condizioni psicofisiche di estrema vulnerabilità delle persone a bordo, dovute ai loro tragici vissuti e alle violenze subite in Libia. Condizioni aggravate dall’esperienza della morte di sei compagni di viaggio e dall’attuale situazione di sospensione del diritto in cui versano. Situazione che si configura come “trattamento inumano e degradante”».

I VOLONTARI chiariscono: «Basta con questa violazione continua delle norme. Siamo pronti a denunciare questi comportamenti in tutte le sedi competenti affinché non si aggravi lo stato di compressione dei loro diritti fondamentali». Venerdì il personale ispettivo della sanità marittima è salito sulla Mare Jonio, la relazione è stata trasmessa a tutte le istituzioni coinvolte, ma lo stallo è proseguito. «Non si tratta più dello stato della nave, con i rifiuti che si accumulano sotto il sole e il dissalatore rotto che rende impossibile lavarsi – ha spiegato l’armatore, Alessandro Metz -. Il problema è lo stato psicofisico di persone con un vissuto tragico. Reagiremo per vie legali. La responsabilità è sempre personale, nessuno potrà rifugiarsi dietro “obbedivo agli ordini”».

LA MAIL CHIARISCE: «A bordo si trovano 6 donne e 28 uomini, tutti vittime di tratta, di reiterate sevizie e torture. Hanno sul proprio corpo i segni tangibili delle violenze subite. Ci sono 4 casi di scabbia». Da Mediterranea ricordano a Roma la pronuncia del gip di Agrigento sul caso Open Arms: «Sulla scorta delle Convenzioni internazionali, il Coordinamento delle operazioni di salvataggio ricade sullo stato che per primo ha ricevuto notizia di persone in pericolo in mare». E ancora: «L’obbligo di salvataggio costituisce un dovere degli stati e prevale sulle norme e sugli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Le convenzioni internazionali non possono costituire oggetto di deroga da parte dell’autorità politica».

PER L’OPEN ARMS la procura di Agrigento ha aperto due procedimenti a carico di ignoti per omissione di atti d’ufficio poiché non è stato assegnato alla nave catalana il porto di sbarco. E un secondo per sequestro di persona. Nel pomeriggio è arrivata la risposta della Capitaneria di porto di Lampedusa: «La competente Autorità Nazionale ha comunicato che: ferma restando l’efficacia del decreto Interministeriale del 28 agosto, il Pos non può essere assegnato». Si tratta del decreto Sicurezza bis. La novità è che nella mail, in copia e con gli indirizzi visibili, ci sono tutte le autorità coinvolte, dai ministri ai livelli intermedi fino alle procure di Roma e Agrigento. Sembra uno scaricare le responsabilità ma anche un modo per mettere in chiaro la catena di comando se dovesse arrivare l’ennesima inchiesta.

UNA NUOVA BURRASCA in mare è attesa per lunedì. Ieri pomeriggio una psicologa è salita a bordo per verificare la tenuta dei 34: «Sono a forte rischio di autolesionismo, tipico di chi ha stati d’ansia – spiegano -. C’è chi ti fa toccare le cicatrici delle torture: “Senti, senti qui”, ti dicono. Chi ti racconta che in Libia ha passato due anni da schiavo. Le violenze sessuali. Le botte con il calcio del fucile. Le frustate, la corrente elettrica. Il campionario dell’orrore. Poi la traversata che diventa tragedia: due notti alla deriva, sei compagni spariti nel mare. Altri cascati giù, riportati a fatica sul gommone. Niente da mangiare, qualcuno che riesce ad afferrare un pesce al volo». Dopo tre giorni, è arrivato il commento del segretario Pd, Nicola Zingaretti: «Queste cose non vogliamo più vederle. Fate scendere gli esseri umani della Mare Jonio».