Il rimorchiatore Mare Jonio della missione Mediterranea è tornato in mare. Nella tarda serata di ieri ha mollato gli ormeggi dal porto di Trapani diretto verso le acque che uniscono le coste libiche a quelle italiane, la rotta migratoria più mortifera al mondo.

«Dopo aver soccorso centinaia di persone, dopo tanti mesi di ingiusto sequestro prima e di stop forzato dovuto all’emergenza Covid-19 poi – scrivono gli attivisti – Mediterranea torna in mare, nel pieno rispetto di tutte le normative anti-covid, per monitorare e denunciare le violazioni dei diritti umani che continuamente avvengono nel Mediterraneo centrale». La nave era ferma in porto dal giorno dell’ultimo sequestro, il 3 settembre 2019, avvenuto sulla base delle norme contenute nel decreto sicurezza bis voluto dall’ex ministro Matteo Salvini e mai cancellato dalla nuova coalizione Pd-M5s. Pochi giorni prima aveva tratto in salvo 98 naufraghi.

«Torniamo in mare in uno scenario sempre più inquietante, – ha detto Alessandra Sciurba, presidente di Mediterranea – in cui i governi europei rivendicano ormai la propria connivenza con le milizie di un paese in guerra come la Libia calpestando consapevolmente diritti fondamentali e vite umane. Essere in quel mare significa ancora una volta cercare di riaffermare dal basso che la vita di ogni persona conta. I can’t breathe è l’ultimo sussulto anche di ogni persona lasciata annegare per scelte politiche criminali».

Al momento sono due le imbarcazioni umanitarie impegnate in mare. Il 6 giugno, infatti, è ripartita anche Sea-Watch, diretta verso l’area Sar. «Nei tre mesi passati a Messina ad adeguarci alle misure anti Covid-19, le istituzioni non hanno garantito i soccorsi e la nostra presenza è più che mai necessaria», ha twittato l’Ong, cui appartiene anche l’aereo di ricognizione Moonbird. Il velivolo ha effettuato ieri la prima missione di monitoraggio individuando immediatamente tre barche con a bordo circa 200 persone. I rifugiati sono stati intercettati dalla cosiddetta «Guardia costiera libica» e riportati indietro. Lo ha comunicato l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, che ha una missione a Tripoli.

Con l’arrivo della bella stagione, come era scontato, sono riprese in forze le partenze. A maggio sono sbarcate in Italia 1.654 persone, circa un terzo di tutte quelle arrivate nel 2020 (5.472). Nel mese scorso nel Mediterraneo centrale non era presente alcuna imbarcazione umanitaria. Questi elementi smentiscono per l’ennesima volta, se ancora ce ne fosse bisogno, la teoria delle destre secondo cui le Ong costituirebbero un pull factor, cioè un fattore di attrazione dei migranti. Al contrario, l’unica verità è che in un Mediterraneo sguarnito di missioni istituzionali di soccorso e salvataggio, le navi umanitarie rappresentano l’unica possibilità di ridurre le stragi.

Proprio ieri è stata confermata l’ennesima: la marina tunisina ha recuperato 22 cadaveri al largo di Kraten, estremità nord delle isole Kerkenna a 45 chilometri da Sfax e 141 da Lampedusa. I morti, comunque, potrebbero essere molti di più. Secondo le autorità sarebbero state almeno 53 le persone che viaggiavano sull’imbarcazione naufragata. «Ieri nel Mediterraneo centrale: recuperati 22 corpi dell’ennesimo naufragio al largo della Tunisia; 125 persone in fuga dalla Libia catturate e riportate nei campi di detenzione. La Mare Jonio è tornata a navigare per impedire tutto questo. #BlackLivesMatter», ha twittato in mattinata l’armatore Bepe Caccia.