Una valanga di voti alternativi, più nera di qualunque previsione, travolge Angela Merkel, additata da alleati e avversari come unica Mutti della sconfitta elettorale dei partiti tradizionali in Mecleburgo. Da domenica l’«incubo-Pomerania» è una realtà conclamata a suon di consensi nelle urne e un dato di fatto che rottama la vecchia politica tedesca. «Un risultato assai insoddisfacente» ammette a denti stretti la cancelliera collegata in teleconferenza dal G20 in Cina, rompendo per la prima volta la regola di non commentare la politica interna all’estero.

Merkel riconosce la “colpa”: «Come capo della Cdu e del governo sono la responsabile del cattivo esito» ma ribadisce ancora una volta: «La mia politica sui migranti è stata giusta. Il numero di profughi si è ridotto».

Difficile da spiegare dopo si è avverato il «sogno» di Alternative für Deutschland, entrata nel Parlamento di Schwerin sull’onda del 20,8% delle preferenze e artefice del clamoroso sorpasso sul partito della cancelliera nel suo collegio elettorale.

E impossibile da accettare all’indomani della devastante caduta dei partiti «istituzionali», a partire dall’Spd che conquista il 30,6%, mantiene il governo del Land, ma lascia per strada il 5% dei voti rispetto al 2011. Politicamente pesa quasi più del tonfo dell’Union democristiana congelata a quota 19% e retrocessa a terzo partito nello Stato, o di quella della Linke che passa dal 18,4% di 5 anni fa a un “misero” 13,2. Peggio solo i Verdi che si dimezzano raccogliendo il favore di appena il 4,8% degli elettori.

Un disastro per chiunque, compresi i neonazisti di Npd piallati dalla destra populista ed espulsi dal Parlamento regionale. Così esulta solo Frauke Petry, leader di Afd e non più outsider della politica, che a Schwerin incassa ben 18 seggi per i suoi deputati: «Merkel si è auto-rovesciata, e i partiti tradizionali hanno perso perché hanno ingannato la gente. La Grosse Koaliton non è più così grande» giubila il capo dell’alternativa di destra, dimostrando di conoscere la chimica elettorale perfino meglio della cancelliera.

Ma dopo il voto sparano su Merkel soprattutto gli alleati Csu che le attribuiscono la responsabilità totale della sconfitta.

«Il risultato in Mecleburgo è un campanello d’allarme per l’Union. Lo stato d’animo dei cittadini non può più essere ignorato. Ora a Berlino c’è bisogno di cambiare rotta» è la sveglia suonata da Markus Söder, ministro delle finanze della Baviera. Fa il paio con «il tappo per i rifugiati» auspicato dal segretario Csu Andreas Scheuer e l’analisi del presidente onorario Edmund Stoiber, convinto che «la cancelliera non si è certo rafforzata, visto che ha perso perfino a casa sua».

Collima anche con la lettura del vice-presidente Spd Ralf Stegner («Una grave sconfitta personale di Merkel») mentre il vice-cancelliere e leader socialdemocratico Sigmar Gabriel glissa preferendo festeggiare la rielezione del governatore Erwin Sellering e il «mantenimento della rotta» dell’Spd.

A sinistra, invece, ammettono la disfatta senza attenuanti, con il co-presidente Linke Bernd Riexinger che evidenzia lapalissianamente: «Se gli elettori hanno votato Afd significa che non siamo noi l’alternativa». Ora l’unica speranza è una coalizione con Spd e Verdi, anche se «non c’è niente di sicuro e la palla resta nel campo dei socialdemocratici» puntualizza Riexinger. Realista almeno quanto il leader dei Grünen Cem Özdemir, tra i pochi che non addossano la colpa della debacle alla cancelliera né al governo a cui peraltro si oppone al Bundestag. «Non sono certo il tipo da difendere Merkel, ma la politica sui rifugiati è stata appoggiata da tutti i partiti democratici, egualmente responsabili della sconfitta».

Eppure «la catastrofica gestione dei migranti», per dirla con le parole di Petry, ha pesato ma fino a un certo punto. Paradossalmente il Mecleburgo-Pomerania ospita una delle più basse percentuali di profughi della Germania e non ci sono pericoli di “invasione” vista la vastità del Land. Anche la crisi economica sembra influire meno di un tempo: industria e commercio nello Stato fanno registrare performance inimmaginabili 5 anni fa e il “libero mercato” non è più il miraggio post-unificazione (il partito liberale ha preso solo il 3%).

Piuttosto il boom populista si configura come voto di protesta traversale contro le forze politiche “storiche”, incapaci di parlare alla testa (e alla pancia) dei tedeschi. Hanno barrato il simbolo Afd non solo i nazionalisti ma anche una parte consistente di elettori Spd, Cdu, Linke e Verdi provocando l’emorragia di voti nei loro partiti. Tradotto significa che ha pagato la campagna basata su odio e xenofobia di Eric Holm, ex conduttore radio e capolista di Afd in Mecleburgo-Pomerania: da vero dj ha fatto girare il disco della propaganda facendo ballare anzitutto i partiti del Bundestag.

«L’obiettivo a lungo termine è governare la Germania» fa sapere Holm che descrive il voto di domenica come «una festa del popolo». Choc moltiplicato per 16 per la Grande coalizione come per l’opposizione rosso-verde, quando mancano 12 mesi dalle elezioni federali.

Un incubo materializzato dalle migliaia di bandiere azzurre dei simpatizzanti Afd che ieri hanno celebrato la vittoria davanti al castello di Schwerin, sede del Parlamento locale. «Gioia e postumi post-sbornia» è l’efficace sintesi trasmessa dalla tv Ndr insieme ai video del trionfo del «popolo della piccola gente» come battezzato dal vice Afd Alexander Gauland. Mentre non solo sulla stampa rimbalza la sintomatica dichiarazione del governatore del Mecleburgo Sellering: «Mantenere il posto di presidente è stata la battaglia più difficile di tutta la mia vita». La cancelliera Merkel è avvisata.