Nella popolare serie «The Last of Us» e nel videogame da cui è tratto, un fungo parassita denominato cordyceps prende il controllo degli esseri umani e li trasforma in aggressivi zombie. È fantascienza, ma il fungo esiste davvero: gli autori si sono limitati a sostituire l’organismo aggredito. I funghi del genere cordyceps (ne esistono moltissime) sono in grado di infettare piccoli insetti e governarne le azioni. Una volta contagiato, l’animale assume un comportamento innaturale ma funzionale alla propagazione della specie parassita che in questo modo acquisisce un vantaggio evolutivo.

AD ESEMPIO, il fungo ophiocordiceps unilateralis che ha ispirato gli autori convince le disciplinate formiche a abbandonare il formicaio, salire in solitaria sulle piante che lo sovrastano e a morire con le mandibole «agganciate» alle foglie. A quel punto, come un mostro del film «Alien», il fungo fuoriesce dal corpo dell’animale e lancia le sue spore sulle ignare formiche sottostanti, che vengono contagiate a loro volta e riproducono il ciclo di vita del parassita. A scoprire le formiche zombie a metà Ottocento fu Alfred Russel Wallace, il naturalista che condivise la scoperta della selezione naturale con Charles Darwin e oggi ingiustamente meno conosciuto di lui.
Esempi come questo sono più diffusi di quanto si creda. Da diversi decenni i biologi tentano di spiegare come i parassiti riescono a manipolare l’animale ospite. Nell’ultimo numero di Current Biology, i ricercatori giapponesi dell’università di Kyushu e dell’istituto Riken coordinati da Tappei Mishina suggeriscono una pista interessante in un altro parassitismo comportamentale. In questo caso il parassita è un verme del tipo «nematomorfo» e la specie-ospite è la famigerata mantide religiosa, l’insetto che mangia il maschio con cui si è appena accoppiato.

IL VERME SI SVILUPPA all’interno dell’insetto ma per riprodursi ha bisogno di un ambiente acquatico. Per riuscirci ha messo a punto un sistema diabolico: una volta cresciuto il verme, la mantide contagiata sviluppa l’impulso a suicidarsi per auto-annegamento nello stagno più vicino invece di condurre la sua normale esistenza terrestre. Questo consente al verme di tornare all’acqua e ricominciare il suo complesso ciclo di vita.
Cercando di svelare come il verme spinga l’ospite al tuffo mortale, gli scienziati giapponesi si sono imbattuti in un fenomeno sorprendente. Tra i geni che sono attivi nel verme nascosto al momento del suicidio, i ricercatori ne hanno trovati circa 1400 presenti anche nel patrimonio genetico della mantide. Come se tra le due specie fosse avvenuto un abbondantissimo scambio di geni che ha trasmesso al verme le istruzioni necessarie a governare l’organismo ospite.

Per ora è solo un’ipotesi che richiederà conferme ulteriori. Non è chiaro se i geni siano passati dalla mantide al verme o viceversa. Non si può neanche escludere una banale contaminazione dei campioni tra vermi e insetti: in passato, altri casi di trasferimento genetico sono state spiegate con procedure di laboratorio poco accurate. Se la scoperta verrà verificata non spiegherà solo il parassitismo zombie, ma potrebbe aprire nuovi orizzonti alla genetica. Secondo la teoria dominante, i geni si trasmettono solo da un individuo alla sua discendenza, un principio valido universalmente in piante e animali e microbi.
Se ne conoscono eccezioni: virus e plasmidi, ad esempio, possono inserire piccole porzioni di Dna negli organismi contagiati e interferire con la trasmissione «verticale» dei geni. Ma questi meccanismi alternativi non spiegherebbero un così massiccio trasferimento «orizzontale», cioè tra due specie lontane nell’albero dell’evoluzione. Il passaggio tra specie di migliaia di geni obbligherebbe a rivedere alcuni principi fondamentali dell’evoluzionismo come lo intendiamo oggi.

DAL PUNTO DI VISTA degli zombie, il trasferimento genetico invece rappresenterebbe solo una spiegazione parziale del fenomeno. Gli scienziati ritengono che i parassitismi comportamentali siano troppo numerosi per essere ricondotti a un unico meccanismo. Si calcola che oltre la metà delle specie viventi viva grazie a qualche forma di parassitismo, generalmente senza influenzare il comportamento: nella maggior parte dei casi noti, una specie sfrutta l’altra adattandosi al suo funzionamento biologico in modo fisiologico o patologico, ma senza alterarne le strategie di sopravvivenza. Gli «zombie» però sono stati osservati in specie biologicamente assai diverse tra loro. Il trucco di usare le formiche come piattaforma di lancio dall’alto, per esempio, viene sfruttato anche dai cosiddetti «baculovirus». Il toxoplasma, un parassita pericoloso per l’essere umano soprattutto durante la gravidanza, si diffonde in gatti e topi con un espediente ingegnoso: il micro-organismo induce un’irrefrenabile e innaturale attrazione sessuale dei roditori nei confronti dei felini che li porta a gettarsi nelle loro grinfie, facilitando così la predazione e la trasmissione tra le due specie-ospite. Il satanico fungo Massospora cicadina infetta le cicale, si sostituisce ai suoi organi genitali, droga gli insetti con anfetamine e psilocibina e le trasforma in macchine da sesso, spingendo persino i maschi ad assumere i comportamenti femminili per accoppiarsi con altri maschi: tutti stratagemmi utili alla diffusione del microorganismo. Oltre a funghi, vermi e virus, gli insetti stessi possono trasformare in zombi altri insetti.

Una vespa denominata Ampulex compressa inietta un veleno nel cervello degli scarafaggi e li «convince» a seppellirsi sotto terra per covare le sue uova e infine farsi mangiare dalle ingrate vespette. La vespa Glyptapanteles invece depone le uova in un bruco, che abbandona ogni occupazione per trasformarsi a tempo pieno in «guardia del corpo» delle larve e difenderle da ogni predatore (per poi, come al solito, finire mangiato). A storie come queste il giornalista scientifico Matt Simon ha dedicato un gustoso saggio intitolato La vespa che fece il lavaggio del cervello al bruco, pubblicato nel 2020 da Raffaello Cortina con la prefazione di Telmo Pievani.
Sebbene le serie sugli zombie siano classificate nel genere «fantascienza» non è detto che non ci riguardino davvero. Negli ultimi anni si sta sviluppando un ricco filone di ricerca – al punto che qualcuno parla di una vera e propria moda – sull’importanza per gli esseri umani del microbioma, la popolazione di batteri e altri micro-organismi che ospitiamo nel nostro intestino. I trapianti di feci, efficaci per combattere alcune infezioni intestinali, sono già una terapia approvata dalla medicina ufficiale.

GLI STUDI stanno rivelando connessioni inaspettate anche tra il microbioma e la mente, da cui dipenderebbero comportamenti e patologie psichiatriche. L’adagio secondo cui «l’intestino è il secondo cervello» ha dunque qualche base scientifica. Siamo etero-diretti dai microbi della trippa, a cui la nostra sopravvivenza interessa solo per garantirsi una fonte di cibo e un mezzo di trasporto? Se così fosse, dovremmo rileggere sotto una nuova luce la storia umana. Dietro a guerre e potere potrebbe esserci la lunga mano della flora intestinale. Ma i microbi potrebbero essere anche all’origine del progresso scientifico e sociale, funzionale all’allungamento dell’aspettativa di vita: la nostra e la loro. Scoprirsi «zombie» manovrati dalla cacca potrebbe essere meno brutto di come sembra.