L’audace sfida avanguardista intrapresa con Una ragazza lasciata a metà, il pluripremiato debutto di Eimear McBride, di cui si sono voluti rintracciare i precedenti nel flusso di coscienza di Joyce e nell’inconsequenzialità del teatro di Beckett, arretra un po’ nel secondo romanzo, L’altra metà (traduzione di Tiziana Lo Porto, La nave di Teseo, pp. 388, euro 22,00) dove i cedimenti grammaticali e la spigolosità sintattica cui la scrittrice irlandese deve molto della sua notorietà sono significativamente attenuati e il lessico è prestato a effetti di senso meno stranianti di quanto non accadesse nell’opera di esordio.

La ricerca di una lingua non convenzionale, in grado di contenere senza sfigurarla la soggettività dei personaggi, principalmente donne, e la misura del corpo con cui queste esplorano le pieghe delle proprie sensazioni è peraltro condivisa da figure di spicco della scena letteraria irlandese contemporanea, da Sally Rooney a Anna Burns, e Lisa McInerney.

Una crescita inquieta
Qui, nel suo secondo romanzo, McBride torna a raccontare, al netto di qualsiasi inibizione, i risvolti più intimi dell’educazione sentimentale di una giovane donna irlandese, una diciottenne di nome Eilis, che all’inizio degli anni Novanta percorre la trafficata rotta fra l’Isola di Smeraldo e Londra per andare a studiare arte drammatica e avviare un percorso di emancipazione altrimenti impossibile. Più dello spaesamento al cospetto di una metropoli ammaliante, più dell’inserimento negli ambienti scapigliati che gravitano attorno all’accademia e più delle sfide della recitazione, a sconvolgere i tempi e gli spazi entro cui la ragazza andrà negoziando la propria costruzione identitaria sarà l’ansia di consumare il rito di passaggio con cui intende al più presto sbarazzarsi della verginità. Nelle molte pagine di contenuto erotico prevale un impressionismo interiore che agisce da antidoto alla pornografia e invita, a volte persino con dolcezza, a seguire la giovane protagonista con discrezione mentre registra i moti del suo animo e ne decifra il senso, spesso in equilibrio precario fra inquietudine, vulnerabilità e la luce di un amore ineffabile.

La narrazione adotta la sua prospettiva adolescenziale mentre non esita a esporsi con generosità per intercettare le condizioni in cui il coinvolgimento affettivo e il piacere fisico possano fare breccia fra gli errori, i rimorsi e le fragilità dell’uomo di cui si è innamorata.

Stephen è un attore affermato, ha venti anni esatti più di lei, diverse e complicate relazioni alle spalle dalle quali è uscito per nulla incline a esplicitare i motivi della sua confusione, anche quando questa innesca spirali di dissoluzione che in più occasioni rasentano la tragedia. Sarà la premura con cui la diciottenne irlandese lo avvicina, ancora più dell’eccezionale (ed eccezionalmente dettagliato) trasporto fisico fra i due, a sollecitare in Stephen il desiderio di aprirsi a una sorta di catarsi affabulatoria. In virtù di quell’inedito e impetuoso slancio liberatorio – che a dire il vero rischia di disorientare il lettore affezionato al principio di plausibilità – egli le racconta di violenze e abusi familiari, di dipendenza da droga e alcol, di sconcertanti perversioni sessuali e infine di un tentato suicidio. Ma al cuore dello sfogo sta l’urgenza di condividere una sorta di eccesso vitale e un senso di sovrastante responsabilità verso la figlia, Grace, che non può vedere da anni per una sofferta decisione della madre.

Meno ostico dell’altro
Nella lunga confessione di Stephen, e in almeno altre due occasioni in cui la scrittura si fa resoconto serrato di eventi precedenti, lo stile subisce uno scarto drastico dovuto al passaggio dall’ardito sperimentalismo espressivo messo in scena nel resto del romanzo a una prosa nitida e leggera, che si abbandona alle fluttuazioni eleganti di un registro capace di oscillare con naturalezza verso punte di illuminante lirismo. L’inversione è davvero imprevedibile alla luce della resa defamiliarizzante, cruda e frammentata, tanto dei pensieri della protagonista quanto dell’azione. La maturità stilistica e forse la complicità di un calcolo commerciale risparmiano qui al lettore non poche delle difficoltà che hanno reso la ricezione della sua opera prima un affascinante terreno di battaglia.