È noto che i meccanismi dell’immagine pubblicitaria non sono né arbitrari né casuali. David Bate ha scritto in modo efficace, sulla base delle tesi semiologiche di Roland Barthes, che nella fotografia pubblicitaria è chiesto di «innamorarci di un oggetto attraverso la sua immagine» (Photography. The Key Concepts, 2009). Lo spettatore deve essere come «risucchiato» dall’oggetto che si presenta «naturalizzato» come tutti gli altri che gli stanno intorno, mentre i molteplici «significati simbolici» dell’immagine vi si celano dietro. La fotografia, quindi, non descrive e comunica semplicemente informazioni sugli oggetti.

PRENDIAMO IN ESAME il design italiano. La grande quantità di scatti, che ha riguardato la produzione dei maestri tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, eseguiti da un gruppo contenuto di fotografi per alimentare riviste specializzate e house-organ, è la prova che accanto agli «effetti estetici» l’immagine pubblicitaria contiene «effetti significanti». È scontato che i primi siano funzionali alle leggi del marketing, altrettanto vero è che la fotografia sottenda valori e modelli in accordo con la società del consumo.
Mauro Masera (Milano 1934 -1992) è stato un vero specialista della fotografia del prodotto industriale, contribuendo insieme a design, graphic designer e architetti a costruire in immagini lo stile dell’abitare di una società in rapida trasformazione e dall’accresciuto benessere economico negli anni del «miracolo italiano» e fino alla fine degli Ottanta.
Le sue immagini sono l’unione di rigore formale e adesione al programma aziendale, originale invenzione scenica e restituzione della perfezione tecnica della serialità industriale. Ne dà conto il catalogo Mauro Masera, fotografo del design italiano (1957-1992) edito dall’Archivio Progetti dell’Università Iuav di Venezia, a cura di Alberto Bassi e Carlo Masera, che segue la mostra allestita nel 1917 negli spazi dell’istituto veneziano dove il vasto archivio fotografico di Masera è stato trasferito da Milano.
Il suo lavoro di fotografo è illustrato secondo un ordine cronologico. Si va dagli esordi, dopo il diploma di perito ottico (1955), come fotografo per l’industria nell’azienda svizzera di ottica Wildt, alla collaborazione con il grafico parmigiano Erberto Carboni – tra i più versatili e innovativi pubblicitari del dopoguerra – per proseguire con i lunghi sodalizi con Pino Tovaglia e Michele Provinciali.
È attraverso di loro che partecipa alla sperimentazione di nuove forme di comunicazione visiva per marchi quali Pirelli, Montecatini, Kartell, Gavina e molti altri, documentandone gli eventi espositivi negli stand della Fiera di Milano, oppure, come accadrà nel 1968, fondando un’associazione, Photo Center, in grado di rispondere a tutte le molteplici richieste dell’industria avida di sempre nuove idee creative.

MASERA SEPPE soddisfarle al meglio. Ad esempio, inserì il prodotto d’arredo in contesti di convivialità domestica, come il bambino che pittura per gioco la poltrone Gaia (Carlo Bartoli, Arflex) o di socialità urbana, quale la festante processione per la poltrona San Luca (fratelli Castiglioni, Gavina) di una banda musicale, oppure le zingare saltellanti sulle poltrone Throw Away (Landels, Zanotta). Nessun oggi proporrebbe qualcosa di simile per le pagine di Abitare, Ottagono o di qualsiasi altra rivista.
Presto, negli anni Ottanta, Masera trasferirà in still life d’impeccabile perfezione e in scatti narranti la concezione efficentista dello «spazio ufficio» (Tecno), la dimensione «astratta» di oggetti e arredi. È come se avesse condiviso la riflessione dell’importanza di illustrare al meglio il «livello tecnologico» degli oggetti, quello che secondo Baudrillard è la sola «realtà fondamentale» da conoscere e quella che «governa le radicali trasformazioni dell’ambiente». Coincidenze da approfondire nello scavo del Fondo Masera.