La Renzi-mania impazza: «Ha salvato la sinistra europea e l’Europa», esulta il delfino fiorentino dell’ex sindaco, Dario Nardella. Come minimo il trionfo elettorale avrà un effetto benefico sui mondiali di calcio, perché la vittoria del Pd potrebbe addirittura «essere la svolta per tutti i nostri problemi», si allarga il ct della nazionale Cesare Prandelli. Manca solo il «santo subito». Di fronte a tanta incontenibile euforia, Matteo Renzi, solitamente incline alla smargiassata, ora che ha avuto la sua ricercata legittimazione da parte degli elettori e ha tutte le carte in mano, sembra quasi un’altra persona. Si presenta nella sala stampa di palazzo Chigi in un elegante abito scuro e nel commentare il responso delle urne (anzi, «non è questa la sede per commentare un risultato che ricorderemo a lungo per l’ampiezza e lo scarto»), un dato ormai definitivo che assegna al Pd il 40,8, è misuratissimo, come mai prima d’ora.

Assegna la vittoria a tutta la squadra (il record delle preferenze è di Simona Bonafè, capolista al Centro: 246mila) e nega che si sia trattato di un referendum su di lui. Cedere alla sbornia del resto può essere pericoloso, infierire su avversari e concorrenti, sconveniente, trattandosi anche di alleati di governo o partner sul terreno delle riforme. Ma anche di possibili nuovi adepti: perché da parte del Pd la caccia al «grillino» deluso è cominciata a urne ancora calde. E anche da palazzo Chigi il segretario-premier getta un amo, attento a non bastonare Beppe Grillo: «Mi auguro che dentro il M5S si apra una riflessione. Hanno 150-160 parlamentari, tanti, cosa vogliono fare? Perché se continuano a utilizzare il parlamento come un luogo per show e proteste perdono il loro elettorato e tradiscono ogni speranza. Al tavolo delle riforme nessuno gioca a far confusione o all’inciucio, quindi se i 5 Stelle volessero portare il loro contributo, sarebbero ascoltati». E nel Pd si torna a ipotizzare che alcuni di loro potrebbero confluire in un nuovo gruppo parlamentare che allargherebbe la base della maggioranza a sinistra, bilanciando l’Ncd al quale Renzi vuole comunque esprimere gratitudinte nonostante «il risultato inferiore alle aspettative», come non evita di sottolineare.

A sentire Renzi, insomma, il de profundis per l’Italicum è stato recitato prematuramente. Invece «il risultato di domenica non cambia le valutazioni, il ballottagio è centrale per garantire la vittoria, con il proporzionale puro neanche un Pd al 40 potrebbe governare». Dunque avanti tutta per arrivare al sì sulla legge elettorale (se qualcuno punterà i piedi anche con una maggioranza diversa, si ragiona) possibilmente entro luglio. E per giugno si cercherà di ottenere il via libera del senato riforma del bicameralismo. E il premier ne parla anche con Napolitano.

E’ evidente che con un centrodestra da ricostruire sulle macerie, l’interesse a portare a compimento la riforma elettorale per come è uscita da Montecitorio è tutto del partito che, anche se su un altro terreno di gioco, ha superato da solo la soglia del 37% per la vittoria al primo turno. Ma anche che con l’aria che tira, nessuno degli altri partiti, ma anche della minoranza interna, potrebbe a cuor leggero sfidare l’eventuale minaccia di urne anticipate che comunque al momento Renzi si guarda bene dall’adombrare, pur tenendosela in tasca. Anzi, «è chiaro che il Pd non può governare da solo» dunque «eventuali modifiche saranno discusse con gli altri contraenti», concede, ipotizzando appunto che il ventaglio di questi ultimi possa essere anche allargato. Magari insieme alla stessa maggioranza, ma certo non a Forza Italia.
E’ quello che teme l’Ncd, il cui leader Angelino Alfano prova a farsi notare parlando di «successo» per la sua formazione perché la fatidica soglia del 4% è stata superata (insieme all’Udc: promossi a Bruxelles solo Lorenzo Cesa, Carlo Casini e Beatrice Lorenzin) e rivendicando: «Noi siamo il pilastro di centrodestra del governo» e «non c’è un monocolore Pd», quindi il governo dovrà mettere in agenda temi di centrodestra, insistono gli alfaniani.

Il premier tira dritto e intende tornare a correre. Ieri ha incontrato Marianna Madia per la riforma della Pa (non si esclude un decreto), e il nuovo slogan è quello vecchio: a chi gli chiede se la rottamazione sia conclusa, risponde: «Comincia adesso». Incamminata sulla «terza via» tra «populismo» e restaurazione», blaireggia Renzi.
Sul fronte del partito, giovedì si riunirà la direzione. Resta da nominare la presidenza dell’assemblea lasciata vacante da Gianni Cuperlo: i giovani turchi sono disponibili. E dopo la valanga elettorale, la minoranza (in questo caso bersaniana) sarebbe anche pronta a entrare in segreteria.