C’è stato un tempo, erano ancora gli anni novanta dell’altro secolo, in cui l’Associazione nazionale magistrati avviò un’azione disciplinare contro Carlo Nordio, all’epoca sostituto procuratore a Venezia, titolare di inchieste sulle coop rosse, ma soprattutto loquace avversario del pool milanese di Mani pulite («vogliono la loro quotidiana libra di carne»). Ieri l’Anm ha aperto a Roma il suo 35esimo congresso nazionale, faticosamente incastrato nel calendario istituzionale e alla presenza, tradizionale ma quest’anno non scontata, di Sergio Mattarella. E Carlo Nordio pare proprio che sia a pochi giorni dal diventare ministro della giustizia, nel caso evidentemente con l’ok del Capo dello Stato. Anche per questo nella sua relazione il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ha messo le mani avanti: «L’ordine giudiziario non può essere messo in riga. La politica deve accantonare la pulsione a far pagare il conto ai magistrati».

Le idee del centrodestra e di Nordio sono note. Separazione delle carriere e responsabilità civile diretta dei magistrati sono ai primi posti della lista, malgrado o forse a maggior ragione dopo il fallimento dei referendum che a tanto miravano. Per l’Anm sono due minacce pesanti. Ma l’Anm si è opposta anche alle riforme della ministra uscente, Marta Cartabia. Due concluse, almeno dal punto di vista normativo – modifiche ai codici di procedura penale e civile – una ancora da scrivere nel dettaglio: riforma dell’ordinamento giudiziario. Il contenuto della legge delega piaceva già poco alle toghe, il dettaglio sarà a cura del nuovo governo e, dal punto di vista dei magistrati, potrebbe andare anche peggio.

Giusto ieri Cartabia, che sta lasciando via Arenula, ha comunicato i dati aggiornati sulla durata dei processi. Durata abbreviata: nei primi sei mesi del 2022 (quindi al netto delle riforme) del 18,4% nel civile e del 13,9% nel penale. Cala anche l’arretrato civile in Appello, meno 24,1%. Gli obiettivi sono assai più ambiziosi: è scritto nel Pnrr che la durata dei processi civili dovrà scendere del 40% e quella dei processi penali del 25% entro il 2026, mentre l’arretrato civile quasi sparire (-90%). «Abbiamo fatto il possibile, la riforma darà i suoi frutti nel tempo», ha scritto Cartabia all’Anm. «La riduzione dei tempi è frutto dello sforzo che i magistrati stanno facendo nonostante una scopertura nell’organico di 1.700 unità», ha risposto Santalucia.

Punto dolente, secondo i magistrati, che questa mattina, presenteranno un dossier, è il (non) funzionamento dell’ufficio del processo, la novità che nei piani del governo uscente avrebbe dovuto rendere efficiente il lavoro negli uffici giudiziari. Il nodo è sempre lo stesso (malgrado i fondi del Pnrr), i finanziamenti: «Se non si provvede a dotare il sistema delle necessarie risorse il rischio della riforma è di produrre diritti e garanzie di carta», dice Santalucia nella sua relazione.

Il presidente, come fa da tempo nei suoi interventi, non sorvola sullo scandalo Palamara che ha travolto l’immagine della magistratura, «inaccettabili interferenze e commistioni», parla anzi di «crisi della magistratura» e anche «crisi dell’Anm». Ma demolisce il modo in cui il governo uscente ha pensato di porvi rimedio: «Una revisione dell’organizzazione in senso accentuatamente gerarchico» mentre «la giurisdizione non può essere schiacciata da una logica efficientista». Le speranze che il nuovo governo possa esercitare la delega sull’ordinamento giudiziario in modo più vicino ai desideri dei magistrati sono però molto poche. Anche se il modo in cui (non) ha funzionato la riforma della legge elettorale per il Csm – prevista dalla stessa riforma – dovrebbe suggerire che molto di quella legge andrebbe cambiato. Intanto l’Anm ha un’altra preoccupazione, più immediata: si augura che il nuovo parlamento sappia «nominare una componente laica del Csm di alta statura per cultura giuridica e sensibilità istituzionale». Anche in questo caso, malgrado l’avvertimento che l’ex presidente della Corte costituzionale Gaetano Silvestri lancia dal palco – «Il Csm non è un parlamentino» – le speranze non sono poi molte.