«Carceri sovraffollate e non sempre adeguate a garantire appieno i livelli di dignità umana». È la versione laica del «preghiamo per i carcerati» pronunciato da Papa Francesco, la lettera che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato a Il Gazzettino in risposta al drammatico appello dei detenuti del Nordest lanciato nei giorni scorsi («Ci meritiamo la pena, non questa tortura», scrivevano).

Nulla a che vedere con la gravità dei toni che il suo predecessore Giorgio Napolitano usò nel 2011 quando definì il sovraffollamento carcerario «un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile», o con il rigore con il quale, inascoltato, due anni dopo lo stesso inviò un messaggio alle Camere suggerendo le misure da adottare, comprese l’amnistia e l’indulto. «Mi adopero – si limita a dire Mattarella – per sollecitare il massimo impegno al fine di migliorare la condizione di tutti i detenuti e del personale della Polizia penitenziaria che lavora con impegno e sacrificio».

ALLORA I DETENUTI erano quasi 67 mila a fronte dei 59 mila attuali, i posti regolamentari erano – sulla carta – circa 5 mila in meno di oggi, e c’era il pressing della Corte europea dei diritti umani. Ma le celle non erano certo l’«incubatore perfetto del contagio» da Coronavirus che sono diventate, come fanno notare gli avvocati penalisti la cui voce ieri si è unita al coro da più parti levatosi che chiede di correre ai ripari e farlo presto (ieri il numero dei contagiati nelle celle italiane è salito a 17).

Il capo dello Stato Sergio Mattarella Foto LaPresse

Il Capo dello Stato invece esprime comprensione, auspica «la giusta attenzione ai temi che sottolineate» in nome della «solidarietà umana» e si dice «colpito» dal «gesto di grande generosità e vicinanza» espresso dalle detenute della Giudecca che hanno raccolto soldi per l’ospedale di Venezia. Un gesto che dimostra, scrive, «il senso di grande solidarietà che avete maturato» e «la sensibilità e la forza» trovate «per aiutare chi soffre e chi si prodiga generosamente per la loro guarigione».

Parole forse un po’ troppo «prudenti» per descrivere la situazione attuale degli istituti penitenziari italiani, osa il presidente dell’Unione delle Camere penali Giandomenico Caiazza, ma che in ogni caso «rendono non più rinviabile una precisa assunzione di responsabilità da parte del Governo. Possiamo anzi dire – aggiunge – che il tempo è ampiamente scaduto». Anche il Garante nazionale dei diritti delle persone private di libertà conferma che «in alcuni penitenziari la situazione è di estrema difficoltà» e invita a rispettare le misure raccomandante dall’Oms e i principi enunciati dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa al fine di preservare dal contagio detenuti e operatori penitenziari.

PER IL GARANTE MAURO PALMA, le parole del Presidente cono «un autorevole e importante sostegno a far sì che il sistema detentivo del nostro Paese sia, per numeri e per risorse, in grado di affrontare l’impatto» del Covid19.

La lettera del presidente Mattarella «rincuora» invece di sicuro i dirigenti della Polizia penitenziaria, che avvertono però: «Non bisogna frapporre indugi». Daniela Caputo, segretaria della DirPolPen, chiede infatti esplicitamente «scelte di deflazione» che «senza abdicare alla certezza della pena, consentano di limitare le conseguenze della diffusione del coronavirus all’interno delle mura», anche se rivendica per il suo corpo una formazione adatta a predisporre azioni di contenimento e antisommossa. Perché, dice, «la tensione nelle carceri è ancora palpabile per il timore della diffusione del virus».

E INFATTI ANCORA «un episodio di forte protesta» si è avuto nella notte nel carcere romano di Rebibbia, riferisce il deputato Cosimo Ferri (Italia Viva), della Commissione Giustizia, che accusa il ministro Bonafede: «Sta sottovalutando la situazione carceraria, non è stato in grado di dare risposte concrete, ha solo bloccato la riforma Orlando e oggi introduce norme che non servono: il suo non è uno svuota carcere, ma una norma manifesto che non servirà a risolvere i problemi seri e quotidiani». Talmente seri che perfino il responsabile Giustizia del Pd Walter Verini invita «ministro, governo e Parlamento ad andare oltre i primi passi compiuti e intervenire al più presto per abbattere davvero il grave sovraffollamento». Perché l’ostacolo da superare, si sa, è il niet del Movimento 5 Stelle.

ANCHE LA PRESIDENTE del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Giovanna Di Rosa, lancia un appello: «Le carceri hanno estremamente bisogno di posti liberi, perché devono costruire reparti per l’isolamento» da Covid19. E a questo scopo il decreto governativo «Cura Italia» è «inutile perché la detenzione domiciliare presuppone un domicilio – afferma – Cominciamo a tirare fuori un domicilio per i detenuti che non ce l’hanno ma meritano questa opportunità, e non pensiamo ai braccialetti elettronici che non servono, quando le case ci sono». Perciò la magistrata chiede al comune di Milano di fornire alloggi per i domiciliari di chi non ha casa.

Azioni ancora più drastiche sono invece richieste dalle organizzazioni di tutela dei diritti dei detenuti, da alcuni esponenti politici, Radicali in testa, e dall’Associazione italiana dei professori di diritto penale. «Nessuno tocchi Caino» indica come principale misura da adottare «una moratoria immediata dell’esecuzione penale e provvedimenti come amnistia ed indulto». Mentre i Radicali italiani invitano a creare subito «delle task force di magistrati e di personale amministrativo per smaltire le istanze pendenti e concedere le misure alternative previste dalla legislazione vigente», oltre ad ampliare le misure contenute nel decreto governativo.

Ma il numero due del Pd, Andrea Orlando, è ancora contrario ad amnistia e indulto: «Non è necessario – afferma l’ex ministro di Giustizia – La procedura è complessa e prevede una maggioranza che non vedo oggi in Parlamento. Utilizziamo gli strumenti di flessibilità senza far venire meno l’esecuzione della pena». Intende l’esecuzione della pena in carcere.