Dopo il messaggio di fine agosto dal meeting di Rimini teso a «espellere l’odio» e i nazionalismi anacronistici» dal discorso pubblico, ieri Sergio Mattarella è tornato a lanciare un preoccupato monito sui rischi, anche democratici, che nascono dalla crisi economica.

OSPITE DELL’ASSEMBLEA di Confindustria, la prima volta che un capo dello Stato prendeva la parola dal palco degli industriali, Mattarella ha elogiato il mondo dell’impresa per come ha saputo uscire dal trauma del Covid, ma ha avvertito sui rischi di «un capitalismo di rapina»: «Non è quello cui guarda la Costituzione nel momento in cui definisce le regole del gioco. Il principio non è quella della concentrazione delle ricchezze ma della loro diffusione. Il modello lo conosciamo: è quello che ha fatto crescere l’Italia e l’Europa».

IL CAPO DELLO STATO CITA il discorso di Roosevelt di novant’anni fa, «l’unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa», per richiamare «il legame tra economia e democrazia». «La crisi del capitalismo, in quegli anni mise in discussione anche gli ordini politici esistenti, registrando un diffuso malcontento verso la democrazia, ritenuta noiosa e inefficace rispetto ai totalitarismi che si erano affacciati e che si stavano consolidando».

ANCHE OGGI LA CRESCITA esponenziale delle diseguaglianze può portare al rischio di «tirannide». I salari dunque si devono alzare. «Troppi giovani cercano lavoro all’estero, per la povertà delle offerte retributive disponibili», e questa è una responsabilità che interpella il mondo delle imprese. Così come la sicurezza sul lavoro. «Indipendentemente dall’ovvio rispetto delle norme, sarebbero incomprensibili imprese che, contro il loro interesse, non si curassero della salute dei propri dipendenti» e di «eventuali danni provocati all’ambiente», il ragionamento di Mattarella. «Fuor di logica se pensassero di non dover rispondere ad alcuna autorità o all’opinione pubblica, in merito a eventuali conseguenze di proprie azioni». «Qual è un principio fondamentale della democrazia? Evitare la concentrazione del potere, a garanzia della libertà di tutti. Vale per le istituzioni e per le imprese. E la lotta ai monopoli ne rappresenta un capitolo importante», spiega il presidente. No quindi al «dirigismo economico e al protezionismo tipici delle esperienze autoritarie». «Vanno rifiutate», spiega, «spinte di ingiustificate egemonie delle istituzioni nella gestione delle regole o, all’opposto, di pseudo-assolutismo imprenditoriale, magari veicolato dai nuovi giganti degli “Over the top” che si pretendono, spesso, “legibus soluti”».

IL MESSAGGIO PER LA politica di oggi è non cedere alle paure o, peggio, alla «tentazione cinica di cavalcarle». «Se c’è qualcosa che una democrazia non può permettersi è di ispirare i propri comportamenti, quelli delle autorità, quelli dei cittadini, a sentimenti puramente congiunturali». Mattarella cita Luigi Einaudi quando scriveva «è necessario che gli italiani non credano di dover la salvezza a nessun altro fuorché se stessi». «Oggi – aggiunge – diremmo a noi stessi e agli altri popoli coi quali abbiamo deciso di raccoglierci nell’Unione Europea».

IL PRESIDENTE PARLA agli imprenditori, che lo accolgono con un lungo applauso, ma anche alla premier e ai ministri che siedono nelle prime file. Se la citazione di Roosevelt richiama alla determinazione con cui gli Usa seppero passare dalla grande depressione al New Deal, Mattarella si domanda se l’Italia di oggi avrà la stessa forza: «La nostra comunità è adeguatamente resiliente? È sufficientemente desiderosa di futuro, di voler guardare avanti?».