Nella sua lunga e proficua carriera letteraria, Matsumoto Seicho ha inventato numerose tipologie di detective: quello preciso e meticoloso che tratta un caso come un esperimento di laboratorio, l’uomo che vede nell’inchiesta affidatagli una possibilità di riscatto sociale, l’integerrimo che non si lascia influenzare dalle opportunità della carriera, il giornalista che si improvvisa investigatore, il poliziotto povero ma devoto alla professione.

Il suo primo investigatore, Tagami Kosaku, protagonista del romanzo breve Aru ‘Kokura nikki’ den (Alla ricerca del Diario di Kokura, 1952) decide di mettersi sulle tracce del diario perduto dal famoso scrittore medico Mori Ogai, uno tra i principali esponenti della modernità, proprio perché vede nell’indagine la sua unica chance di riconoscimento sociale: pur non avendo alcun problema cognitivo, Tagami ha infatti una disabilità motoria e del linguaggio, che gli provoca prevedibili problemi con gli altri.
Il diario realmente elaborato da Ogai durante il suo periodo di servizio presso la città di Kokura dal 1899 al 1902 era andato disperso, per poi essere ritrovato e pubblicato nella sua interezza solo nell’opera omnia degli anni Cinquanta. Fin dall’esordio Matsumoto si orienta quindi verso un genere di detective story la cui anima è quella del romanzo storico-sociale, spesso rifacendosi proprio al modello di Ogai, cui ha dedicato una biografia.

L’interesse dell’editoria italiana nei confronti di Matsumoto Seicho risale alla fine degli anni Cinquanta, quando tre dei suoi titoli furono inseriti nei Gialli Mondadori. Ora, ottimamente tradotto da Gala Maria Follaco per Adelphi, esce La ragazza del Kyushu (pp. 208 euro 18,00), che si presenta inizialmente come una classica detective story, affiancata dal consueto corredo di disegni della scena del crimine ai quali Matsumoto ha abituato i suoi lettori, e tutta l’attenzione della trama sembra andare verso l’investigazione, gli interrogatori, le deposizioni e i verbali.

Un giovane insegnante viene accusato di avere ucciso una insistente usuraia alla quale si era rivolto non per debiti di gioco o per le conseguenze di una vita dissoluta, ma per rimediare alla perdita dei soldi raccolti per la gita della scuola. La sorella Kiriko, fragile all’apparenza ma decisa, parte alla volta di Tokyo per chiedere al più famoso e costoso avvocato della metropoli, Otsuka Kinzo, di difendere il fratello ed evitargli la pena di morte. Non avendo tuttavia la somma necessaria per affidare il caso al noto studio legale, Kiriko cerca in tutti i modi – ma senza successo – di coinvolgere l’avvocato nella sua disperazione.

Della sua attrattiva è anche responsabile l’entrata in scena di un altro investigatore, Abe, che motivato dal contatto con Kiriko, approfitta della sua reale formazione – è un giornalista di cronaca – per affrontare pomeriggi interi negli archivi dove elabora ragionamenti e supposizioni eventualmente utili a salvarne il fratello. Ma proprio quando il lettore, contagiato, comincia a imbarcarsi nelle varie ipotesi su chi sia il vero colpevole, e sui progressi delle indagini, gli si rende chiaro come il romanzo stia virando verso una storia di vendetta.
Fino alla riformulazione del sistema legislativo a metà dell’Ottocento, in Giappone la vendetta era contemplata: in caso di morte violenta, i familiari della vittima – non prima di avere ottenuto i documenti ufficiali, e informato via via le autorità delle loro mosse – potevano richiedere il permesso di cercare il colpevole e ucciderlo. Tuttavia, non tutti i casi di vendetta, storici o meno tra quelli consegnati alla letteratura giapponese, erano agiti in maniera ufficiale. Le pagine dei copioni teatrali e della narrativa sono sature di strategie architettate dai personaggi per sfogare il proprio rancore, cesellate per anni nelle loro vite, con una tenacia che faceva sì che nessuno potesse sfuggire. È questo il tipo di vendetta di cui Matsumoto Seicho racconta, in cui il protagonista che ha deciso di farsi giustizia da solo dedica ogni energia per perseguire la distruzione del proprio nemico.

La svolta del romanzo porta i numerosi personaggi, inizialmente ben delineati, a sbiadire fino alla scomparsa, mentre Kiriko prende corpo e colore fino a diventare una delle figure più originali e inquietanti di Matsumoto Seicho. Lucida, perfetta e crudele, la sua vendetta non risparmia chi la subisce, ma nemmeno chi la compie.