Nella Sezione Satellite-Visioni Per Il Cinema Futuro di questa cinquantaquattresima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo cinema di Pesaro Samuele Sestieri, su un altro fronte ancora alle prese con i successi nazionali e internazionali di I Racconti Dell’Orso, presenta insieme alla compagna Carlotta Velda Mei un corto visionario e ammaliante per qualità visiva dal titolo Matrioska. Un film che, come ci spiega Samuele, germina dall’asfalto: «Matrioska nasce durante la prima nevicata a Roma del 2018. Con la mia compagna Carlotta siamo usciti in macchina muniti di cellulare. Sono, anzi siamo, affascinati dall’asfalto bagnato per i riflessi che i fari delle auto, i semafori, le insegne colorate, generano sulla superficie dando vita a cromatismi molto interessanti. L’idea di base è che la strada sia una tela da cui far nascere altre immagini.

Quella componente visionaria che già ne «I Racconti Dell’Orso» trasfigurava il mondo, qui si libera definitivamente, ma in qualche modo la realtà rimane l’orizzonte di referenza del tuo cinema…

Sì, l’idea di un’immagine ordinaria, di frammenti di vita quotidiana, che improvvisamente inizia a trasformarsi, ad astrarsi, è una della mie ossessioni. Ogni immagine può continuamente trasfigurarsi, attraverso il cinema. Avevo l’idea che i corpi, le strade, dovessero perdere la propria oggettiva fisicità per farsi figure astratte, forme, colori, «macchie» di luce in movimento, la pasta-base del cinema. Farlo con un cellulare, che perde continuamente la messa a fuoco, ma che consente un rapporto meno strutturato col mondo, ovviamente, è ancora più radicale, anche per le molte implicazioni che ha il mezzo in sé.

Mi sembra che il «travelling orizzontale« della macchina da presa, e quindi lo scorrimento orizzontale delle immagini, unitamente all’andamento onirico apparentino questo corto alla parte del tuo primo film in cui la bimba si addormenta in auto…

Lego l’idea del viaggio in macchina alla mia infanzia, quando i miei guidavano mentre io mi facevo lunghi sonni-sogni sul sedile posteriore o guardavo il paesaggio, che scorreva a una velocità differente, con le sue linee mutanti e le sue trasformazioni. Mi piace come nella velocità ogni figura si perda in quello che diventa una sorta di movimento di camera-car inesausto. Nei Racconti Dell’orso la bambina mediava proprio questo: l’entrata nel mondo del sogno, che si fa in velocità e attraverso una serie di sovraimpressioni che nascono dal reale per poi renderlo astratto. Qui la situazione è simile, ma è differente la direzione di questo scorrere delle immagini, perché nei Racconti il punto di vista era laterale, dal finestrino, mentre qui è centrale, attraverso il parabrezza, che significa la differenza tra scorrimento laterale e avanzamento verso la profondità. Un’altra differenza è che lo scivolamento nel sogno della bambina era progressivo, e con questo progrediva l’astrarsi di un’immagine inizialmente molto reale, mentre in Matrioska l’immagine è da subito color-corretta in senso allucinatorio, entrando sin dall’incipit in una dimensione più onirica.

Questo film tutto giocato su sovraimpressioni porta alle estreme conseguenze quella tentazione del tuo cinema alla creazione di immagini «trasparenti» e molteplici, che lasciano intravedere strati potenzialmente infiniti di immagini sottostanti in uno spazio paradossale…

È proprio da qui che viene il titolo Matrioska. Io sono molto attratto dalle dissolvenze incrociate, dai momenti di co-esistenza e dalla sovraimpressione di più immagini, perché mi sembra che trovare «all’interno» di un’immagine un’altra immagine nascosta, o addirittura un’ infinita quantità di immagini nascoste, sia una incredibile sfida. All’interno di Matrioska ci sono molte più immagini di quelle che si vedono: paesaggi, panoramiche girate da un treno, una madonnina, un sipario rosso fluttuante e molte altre, provenienti dal mio archivio di riprese che rimangono lì, nel tempo, pronte a essere montate. Sono filmati effettuati in luoghi e tempi diversi, tutti momenti, ricordi personali, che qui vengono immessi o re-immessi in circolo.

Gli unici due elementi figurativi riconoscibili, non manipolati, sono l’immagine sacra della Vergine Maria e il volto amato della tua compagna Carlotta…

Mi piace lasciare le immagini estremamente aperte dal punto di vista delle possibilità di senso, è proprio qui che agiscono i segni: l’assimilazione cromatica dei due volti, entrambi di un rosso acceso, li rende immediatamente vicini. Poi ci sono anche ricordi più antichi e personali. Ricordo da piccolo, a casa di mia nonna, una madonna sotto forma di matrioska. Il contenitore più grande della matrioska è detto madre, quello più piccolo seme: l’idea delle immagini in Matrioska è proprio questa. D’altronde l’immagine digitale, che contiene unità di immagine sempre più piccole al suo interno, sino all’unità minima del pixel, è proprio questo.

Parliamo della scelta di girare con un cellulare…

Questo tipo di lavori, a costo zero e girati nel corso del tempo, con accumulo di materiali personali, senza il digitale non sarebbero possibili. Il digitale ci ha regalato la leggerezza estrema dell’essere quasi invisibili, del poter portare i nostri mezzi per strada e osservare il mondo senza essere visti. Oggi è molto più facile fare un film a basso costo perché esiste una tecnologia che permette di farlo, il che ovviamente pone una serie di problemi di sguardo e la domanda, necessaria, di come, quando e perché questo sguardo si fa cinema. E questo avviene nel montaggio, inteso come forma di scrittura narrativa del film. Matrioska è girato senza strutture preordinate, semplicemente reagendo alle immagini che mi trovavo davanti, per poi trovare la scrittura successivamente, nel chiuso della sala montaggio. Avevo chiara l’idea della sovraimpressione, dell’immagine matrioska, ma non sapevo che immagini ci sarebbero entrate, ed è stato solo frugando negli archivi e nei ricordi, e facendo prove al montaggio che ho potuto identificare quelle giuste, trovando la scrittura-struttura definitiva del film.