Annunciata ieri, l’incorporazione della Stampa nel gruppo Espresso sarà compiuta entro febbraio 2017, quando il giornale torinese raggiungerà i 150 anni di una storia vissuta quasi tutta nelle mani degli Agnelli – adesso in fuga dall’editoria italiana – e diventata grande nel dopoguerra grazie a un direttore che si chiamava Giulio De Benedetti. Arrivò a vendere 600mila copie al giorno. Oggi La Stampa sta sulle 170mila.

Carlo de Benedetti (altra famiglia), che è rimasto alla corte degli Agnelli solo per tre celebri mesi come amministratore delegato della Fiat, ha assunto il controllo di Repubblica che non sono ancora trent’anni, il giornale essendo stato fondato quaranta anni fa (appena festeggiati) da Eugenio Scalfari, che ha spostato la figlia di Giulio De Benedetti, e Carlo Caracciolo, che era il cognato di Gianni Agnelli. All’inizio degli anni Novanta, Repubblica riuscì a superare in vendite il Corriere della Sera con oltre 700mila copie quotidiane. Oggi non arriva a 300mila.

C’è la grande storia dei giornali e delle famiglie editoriali italiane, ma anche la sofferente attualità del mercato dei quotidiani dietro questo primo esempio di aggregazione nel settore. Che riguarda anche il più piccolo Secolo XIX, che oggi vende sulle 45mila copie ma ad aprile festeggerà i suoi 130 anni.

Il risiko non finisce qui, perché con l’occasione John Elkann ha spiegato che Fca cederà anche la quota del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, di cui è il primo azionista (ruolo che passa a Della Valle).

Alla fine del giro, la Exor (la finanziaria degli Agnelli) si troverà con in mano appena il 5% del nuovo gruppo egemonizzato con il 43% da Carlo de Benedetti (e per lui dal figlio Rodolfo e dall’amministratrice delegata Monica Mondarini). Ma è già chiaro che anche quel 5% verrà affidato alla Cir attraverso un patto di sindacato, magari assieme all’altro 5% rimasto nelle mani della famiglia Perrone, editori storici del Secolo. Il patto di sindacato controllerebbe così il 51% del nuovo gruppo che nelle parole di Elkann «sarà solido e integrato come Springer in Germania e News corporation negli Stati uniti». Due famiglie (i Murdoch per News corp.) concentrate sull’editoria. Gli Agnelli, con Marchionne, d’ora in avanti faranno altro: automobili e assicurazioni.

Editoria solo all’estero, Exor è infatti il primo azionista dell’Economist.

«Sono particolarmente felice di unire i nostri destini editoriali a una testata come Repubblica, il giornale che il mio prozio Carlo Caracciolo contribuì a fondare», ha scritto Elkann ai dipendenti del gruppo Ital press, nato poco più di un anno fa dalla concentrazione tra La Stampa e Il Secolo XIX.

Il legame storico tra i due giornali ha trovato conferma negli anni nelle decisioni di Carlo de Benedetti. L’ingegnere, torinese di nascita, per la scelta dei direttori di Repubblica si è sempre rivolto alla Stampa. Dopo Scalfari, arrivò Ezio Mauro, consigliato e accompagnato a Roma dall’avvocato Agnelli, e dopo Mauro Mario Calabresi, tornato a Repubblica da poco più di un mese e ritenuto pedina fondamentale dell’accordo ufficializzato ieri.

Secondo i comunicati ufficiali, il nuovo gruppo controllerà un quinto del mercato dei quotidiani in Italia, avrà una posizione di leadership nell’informazione online (ma nel gruppo Espresso oltre all’omonimo settimanale ci sono anche radio e tv) e mette insieme «un fatturato di 750 milioni di euro e la redditività più alta del settore».

Nella famiglia di Repubblica ci sono anche diciassette quotidiani locali diffusi in tutta Italia, a eccezione proprio del Nord ovest presidiato dalla Stampa e dal Secolo.

Sul memorandum di accordo ufficializzato ieri dovrà esprimersi nei prossimi mesi l’Antitrust.

Intanto i protagonisti della fusione assicurano che «le testate manterranno piena indipendenza editoriale». Una formula che non esclude l’ipotesi di una vendita dei quotidiani in abbinamento in Piemonte e in Liguria, anche se non è questa la strategia seguita fin’ora da Repubblica.

Ma accanto alle preoccupazioni per le conseguenze della concentrazione in termini di concorrenza e pluralismo informativo, nelle prime ore si fanno avanti le paure del sindacato dei giornalisti per l’impatto sull’occupazione. L’enfasi dei comunicati sulla redditività non può far dimenticare che negli ultimi due anni tanto il gruppo Espresso quanto La Stampa hanno dovuto ricorrere allo stato di crisi per tagliare le redazioni.