«Questo dono di vita, questa magia di rappresentare delle persone reali tutto il turbinio di intiere folle rumorose di un’intiera città! Ecco la caratteristica di questa affascinante artista.» È l’asserzione dello scrittore e saggista francese Paul Bourget (1852-1935), che ben rappresenta l’intensità narrativa e giornalistica di Matilde Serao (Patrasso 1856/Napoli 1927). Essenza che si rileva in Telegrafi dello Stato (Polidoro Editore, 2022) con la prefazione di Vincenza Alfano e un’intervista alla Serao dello scrittore e giornalista Ugo Ojetti (1871/1946) del dicembre 1894. L’origine di siffatta novella, pubblicata nel 1886 nella raccolta Il romanzo della fanciulla, è da individuare in una vicenda personale dell’autrice.

Conclusi gli studi, per concorrere al bilancio familiare, lavora alle Poste Centrali di Napoli come telegrafista, impiego svolto dal 1874 al ’77. Un racconto senza infingimenti nel quale ella denuncia le condizioni di lavoro cui sono assoggettate le donne: «Quando tutti si godono la festa, noi in ufficio: il Padre Eterno si è riposato il settimo giorno, e noi non riposiamo mai». Ciò che apparirebbe un frammento estratto da un’affermazione attuale, in realtà è il passaggio più significante di Telegrafi dello Stato. Nel 1885 la scrittrice sposa il giornalista e scrittore Eduardo Scarfoglio (1860/1917), con cui intesse un appassionato e vivace sodalizio intellettuale. A Napoli fondano e dirigono insieme nel 1892 Il Mattino fino alla separazione avvenuta dieci anni dopo. La Serao nel 1904 seguita a occuparsi di giornalismo dando vita al Giorno. Tra i romanzi si ricordano Le virtù di Checchina (1884), Il ventre di Napoli (1884), Il paese di cuccagna (1891), in cui viene raccontata la realtà di Napoli, con i suoi aristocratici surreali e inadeguati, i suoi borghesi superficiali e indiscreti, i suoi popolani veri anche se mai emancipati. L’autrice fa soprattutto vivere gioie e disperazioni, miserie e speranze, sensualità e debolezze, furbizie e innocenza della plebe napoletana.

Infrange in tal modo la secolare concezione di una Napoli solare e oleografica: sullo sfondo dei quartieri fatiscenti e brulicanti della città descrive nei particolari le indigenze, l’analfabetismo e le superstizioni di una popolazione avulsa dai percorsi della modernità e del progresso. La battaglia antifascista le costa nel 1926 il mancato consenso del regime fascista alla candidatura al Premio Nobel per la Letteratura. «Maria Vitale è il primo personaggio che appare sulla scena ed è anche l’ultimo che leggiamo nel racconto. Su di lei la Serao accende subito il riflettore che ce la fa individuare come protagonista», commenta Vincenza Alfano.

Ma la scrittrice presenta anche le altre impiegate dei Telegrafi, delineando ciascuna con un particolare: la miope Caterina Borrelli, la bionda ed elegante Adelina Markò, l’aspirante attrice drammatica Maria Morra, la ‘straniera’ con l’inflessione piemontese Emma Torelli, etc. A loro sono destinate logoranti giornate scandite dal ritmo del ticchettio dei tasti e una vita regolata da turni sfibranti. Una realtà senza tempo, dove alle donne è richiesto di lavorare per un salario inferiore rispetto a quello degli uomini, pur svolgendo lo stesso mestiere. In Telegrafi dello Stato si evincono fortemente le pessime condizioni lavorative delle donne. È un racconto di denuncia, senza pietismi e stereotipi, dove i temi affrontati, ovvero i profondi drammi imposti alla scrittrice e alle sue coetanee, si rivelano straordinariamente e tristemente attuali.