Una carneficina. L’attentato compiuto ieri a Kabul è uno dei più sanguinosi della guerra in Afghanistan. Il ministero della Salute ha accertato 95 morti, 158 feriti. Perlopiù civili. Ma il bilancio delle vittime è destinato a salire: sono tanti i feriti in gravi condizioni. Solo nell’ospedale di Emergency, non lontano dal luogo dell’attacco, sono stati trasferiti 111 feriti. Un vero e proprio massacro l’ha definito Dejan Panic, coordinatore dell’ospedale.

I TALEBANI hanno rivendicato l’attacco. Sostengono di aver colpito i membri delle forze di sicurezza, in una zona centrale ma preclusa ai civili. L’obiettivo, però, era tutt’altro che legittimo. Partiamo dal luogo scelto. Siamo a due passi da charahi Sadarat, una rotonda sempre molto trafficata che collega la via Salang al quartiere diplomatico di Wazir Akbar Khan e a Shahr-e-now, la città nuova: il quartiere dello «struscio», dei negozi con prodotti di marca, dei ristoranti per i più abbienti, dei nuovi edifici con pareti a specchio tirati su con i soldi del riciclaggio.

FINO A QUALCHE anno fa, su un lato della rotonda c’era la libreria resa nota dal romanzo Il libraio di Kabul. Poco più in là, verso la sede della Polizia municipale, ogni giorno, fino a tarda sera gruppetti di persone si fermano in attesa dei taxi collettivi. Sull’altro lato della rotonda svetta l’ospedale Jamhuriat. Lungo tutto il perimetro, si alternano bancarelle di ogni tipo: abiti usati, cancelleria cinese, succhi di frutta per i bambini che tornano da scuola. Per entrare all’ospedale, si imbocca una via controllata dall’esercito. Alle automobili dei civili è vietato l’accesso. A piedi, i controlli sono sbrigativi: una veloce palpatina sulle gambe e intorno alla vita, ma non per tutti i pedoni.

OLTRE CHE all’ospedale, il cui ingresso è qualche metro oltre il primo check-point, la strada conduce alla sede dell’Alto consiglio di pace (l’organo che dovrebbe favorire il negoziato con i Talebani), a uno degli uffici dei servizi segreti afghani, al compound dell’Unione europea, ad ambasciate ed edifici governativi. Ma conduce anche a Chicken Street: una vietta fitta fitta di negozi con i prodotti «caratteristici» afghani, dai tappeti alle pietre preziose. Per i pedoni, è di fatto una scorciatoia per raggiungere Shahr-e-now.

L’ATTENTATO è stato compiuto con una finta ambulanza, che ha superato il primo check-point. Quando le forze di sicurezza, al secondo controllo, si sono accorte che qualcosa non andava, è arrivata l’esplosione. Devastante. Proprio in mezzo ai civili. Le vittime principali sono, ancora una volta, i civili. Ma il messaggio è rivolto al governo di Kabul. Debole, paralizzato dall’antagonismo tra il presidente Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah, corrotto, illegittimo agli occhi di molti afghani, il governo di unità nazionale è sempre più screditato. Sabato 20 gennaio, l’attacco all’hotel Intercontinental: almeno 23 morti. Mercoledì scorso alla sede di Jalalabad di Save the Children: 6 morti. Prima, durante e dopo, decine e decine di attentati che sfuggono ai media internazionali. Per la missione Onu a Kabul, nei primi 9 mesi del 2017 ci sarebbe stata una media di 10 vittime civili al giorno. Più recentemente, sia la provincia del Khorasan, branca locale dello Stato islamico, sia i Talebani hanno intensificato la campagna militare antigovernativa. Puntano sui centri urbani, garanzia di ampie coperture mediatiche. La relazione tra Talebani e Stato islamico è complicata. I due gruppi si contendono visibilità, risorse finanziarie, territorio e reclute. Quando il gruppo del Khorasan ha fatto il suo ingresso in Afghanistan, alla fine del 2014, i Talebani hanno chiuso un occhio. Più avanti, preoccupati dalla loro capacità di reclutamento e dalla rapida ascesa, hanno combattuto i militanti del Califfo.

IL 2017 È STATO un anno di scontri feroci, soprattutto nella provincia orientale di Nangarhar. Ma anche di accomodamenti reciproci. L’antagonismo resta: ai Talebani, tradizionalmente nell’orbita di al-Qaeda, non piace la pretesa del Califfo, ai ferri corti con i qaedisti, di intestarsi il jihad in Afghanistan. Ma combattersi a vicenda è controproducente. Perfino Haibatullah Akhundzada, il leader della shura di Quetta, il massimo organo di coordinamento dei Talebani, ha ceduto ai negoziati, perlomeno in certe aree e per un certo periodo.

A SPINGERE entrambi i gruppi in questa direzione, sono i servizi segreti pachistani. E al Pakistan guardano in molti, in queste ore: i clamorosi attentati di questi giorni seguono la decisione di Trump di interrompere i finanziamenti al «Paese dei puri». L’attentato di ieri è avvenuto proprio nelle ore in cui il presidente Ghani ospitava il generale Joseph Votel, comandante dello United States Central Command. Argomento principale: le burrascose relazioni con il Pakistan.