Abuso d’ufficio e peculato. Sono le accuse ipotizzate dalla procura di Roma nei confronti di Domenico Arcuri, indagato nell’inchiesta sulle mascherine «irregolari e dannose per la salute» provenienti dalla Cina. L’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid è stato ascoltato sabato scorso dai pubblici ministeri Gennaro Varone e Fabrizio Tucci, titolari dell’indagine su affidamenti per un valore d 1,25 miliardi di euro effettuati da Arcuri per l’emergenza pandemia a tre consorzi cinesi per l’acquisto di 800 milioni di mascherine, in seguito sequestrate dall Guardia di finanza.

L’inchiesta della procura romana nasce più di un anno fa, nell’estate del 2020, tra la prima e la seconda ondata della pandemia. Nel mirino dei pm coordinati da Michele Prestipino e della Guardia di finanza finiscono quattro società e sette persone, per reati che vanno a vario titolo dal traffico di influenze illecite alla ricettazione, dal riciclaggio all’autoriciclaggio. Fra gli indagati figura di spicco è quella dell’ex giornalista Rai, Mario Benotti, personaggio ben inserito nel mondo della politica, con conoscenze trasversali. La procura – stando al principale capo di imputazione – ritiene che Benotti, «sfruttando le sue relazioni personali con Arcuri», si sia fatto «promettere e dare, indebitamente, dall’imprenditore Andrea Vincenzo Tommasi – che a sua volta agiva in concorso con Daniele Guidi, Jorge Edisson San Andres Solis – la somma di quasi 12 milioni di euro, a titolo di remunerazione indebita della sua mediazione illecita, siccome occulta e fondata sulle relazioni personali» con l’ormai ex commissario «in ordine alle commesse di fornitura di dispositivi di protezione individuali ordinate dallo stesso Arcuri a tre società cinesi, individuate da Tommasi in partenariato con Guidi e Solis, i quali ricevevano provvigioni rispettivamente di 60 milioni e di 5,8 milioni di euro». Il tutto aggravato dal reato transazionale, «per la commissione del quale ha dato il suo contributo un gruppo organizzato da Benotti, Tommasi, Solis, Guidi impegnato in attività criminali in più di uno Stato».
Secondo le analisi cdi laboratorio, le mascherine acquistate «in gran parte» non soddisferebbero «i requisiti di efficacia protettiva richiesti dalle norme Uni En». Alcune forniture sarebbero state addirittura «pericolose per la salute».

«La parola ’emergenza», scrivono i magistrati nel decreto di sequestro delle mascherine, «è stata spesa molto» «anche n modo no coerente». «Le persone intervistate – scrivono ancora i magistrati – hanno ventilato, a giustificazione di un operato meno rigoroso» le necessità di reperire dispositivi di protezione individuale vista «la situazione di emergenza in sé che imponeva acquisizioni forzose, pur di non lasciare la popolazione sanitaria sprovvista di tutela» Ma, obiettano i pm, «dichiarare protettivo un dispositivo di» dubbia « «idoneità può indurre esposizioni sanitarie avventate».