30 secondi di sax baritono acido e malmostoso, quasi una chitarra in una giungla di elefanti, poi un groove in bilico sulla corda della pulsazione, l’elettronica a spostare volumi, pesi, il basso come baricentro stabilmente instabile per avanzare sul precipizio, la batteria a mettere ordine nel disordine, la voce ad alzare la testa in questo temporale elettrico, per puntare gli occhi verso un sole che non arriverà. È scuro il mood di questo esordio ispirato a Le città invisibili di Calvino del quintetto Masche. Disco di distanze siderali e silenzi densi, monumento sibillino alla libertà di chi non smette di cercare l’inaudito.