A mezzogiorno si sfiora la rottura. Il reggente mette sul piatto il suo ritiro nel caso venga costretto autoinfliggersi una data di scadenza. I renziani lo ’avvertono’ che in caso di mancato accordo il congresso si può svolgere subito, anche a ottobre. Cosa che farebbe sfumare la seconda (ed ultima, a occhio) occasione per Maurizio Martina di diventare segretario del Pd. Ma sono due mezzi bluff. Martina non ha intenzione di ritirarsi. E di prima mattina Graziano Delrio ha smentito per l’ennesima volta l’intenzione di correre da segretario («Per ragioni personali e politiche», spiega). E così l’area dell’ex segretario resta ancora senza un candidato vero, al di là dei nomi lanciati da boatos e burloni.

APPENA DOPO MEZZOGIORNO arriva la mediazione. Spinta in buca dal solito tocco felpato del coordinatore Lorenzo Guerini. Viene sottoscritta l’ennesima pax democratica che andrà in scena stamattina dalle 10 e mezza all’Hotel Ergife di Roma. Ma stavolta i ’falchi’ renziani hanno perso. La loro idea di fare le primarie oltre le europee è risultata impraticabile. Talmente insostenibile lasciare il partito a bagno maria fino a oltre prossime cruciali elezioni per Bruxelles, che in molti della stessa area mercoledì scorso si erano smarcati: Ermini, Ceccanti, Fiano, Malpezzi, Parrini. Stavolta ha vinto la proposta di Nicola Zingaretti, candidato in pectore, e Andrea Orlando, leader della minoranza, Franceschini e Fassino. Martina sarà eletto segretario e nel suo discorso indicherà le tappe del prossimo congresso costituente: modifiche dello statuto all’assemblea di novembre, da lì fase di ’ascolto del partito’ e conclusione del congresso – ovvero primarie e finalmente elezione del nuovo segretario – «entro» le europee. La data non sarà fissata, anche per attenuare a Martina la fastidiosa condizione di segretario con scadenza incorporata. Il risultato con ogni probabilità sarà una formula politichese: il congresso si farà «in tempi utili per le scadenze elettorali».

L’INTESA COMUNQUE è raggiunta. Questo non dà la certezza che l’assemblea filerà del tutto liscia. La platea che si trascinerà fino a Roma nonostante il week end di luglio è esasperata contro le lentezze e le liturgie del Nazareno. Per evitare sgradevoli ’fuori programma’ il presidente Orfini ha tenuto uno stretto controllo sugli inviti. Anche perché a parlare, subito dopo l’apertura formale dell’assemblea, sarà Matteo Renzi, che infatti ieri tramite la sua app dava appuntamento ai suoi affezionati alle 11 di stamattina. L’uomo però fresta sempre epicentro di polemiche. Ieri il sito Affariitaliani.it ha «anticipato» il suo abbandono del Pd a capo del manipolo del giglio magico, direzione Macron. Smentito a stretto giro. Ma il sospetto l’ex segretario lavori a un altro partito resta.

OGGI DUNQUE PARLERÀ per primo. Decisione di Orfini: l’ex segretario del resto deve ancora spiegare le sue dimissioni all’assemblea.Ma lo stile dell’uomo (Renzi) fa temere reazioni dalla platea. Anche se chi ci ha parlato esclude polemiche di piccolo cabotaggio da parte del senatore di Lastra a Signa: «Matteo è d’accordo con la scelta di fare il congresso prima delle europee. Vedrete, volerà alto».

TORNA A PARLARE DI LUI anche Massimo D’Alema. E del Pd. Ieri, intervenendo a un seminario organizzato da una serie di associazioni vicine a Leu, il presidente di Italianieuropei ha scoccato una delle sue battute sul partito che ha lasciato: «Il Pd, invece di ritrovare le proprie radici di sinistra è andato contromano e ha incontrato un Tir, come capita in questi casi. Eppure continua a farlo, è diabolico».

IL RAGIONAMENTO ERA in realtà più complesso e rispondeva all’analisi critica sulle scelte dei governi del centrosinistra degli anni 90. Bisogna tornare alle radici della sinistra, dice D’Alema, «In Italia Bene Comune (l’alleanza Pd-Sel-Socialisti del 2013, ndr) c’erano elementi di ritorno alle radici. Propongo un’analisi più problematica del ventennio che abbiamo alle spalle. Nei paesi dove ha ritrovato le sue ragioni la sinistra è più vitale». La replica arriva da Giuseppe Provenzano, giovane centravanti dell’area orlandiana e anima dell’associazione Sinistra Anno Zero. «È strano che la critica al blairismo venga dai blariani degli anni 90», risponde, «Dobbiamo condurre una battaglia politica contro i gruppi che hanno portato la sinistra al disastro negli ultimi anni, ci vuole discontinuità. La fase Corbyn mi è mancata…». Scintille, soprattutto differenze di letture della storia recente. Ma alla fine della giornata fra Pd e Leu il ponte è ricostruito, anche formalmente. Nasce un network di associazioni e fondazioni di diversa ispirazione per dialogare in parallelo con i partiti. «Un luogo di lavoro politico-culturale fra politici e intellettuali di area progressista che condividono, anche se oggi collocati in diverse forze politiche, l’esigenza di mettere in campo una proposta radicalmente rinnovata», spiega Alfredo D’Attorre.