«È stato un dono lavorare con lei pochi mesi fa e non avrei detto che potesse essere vicina alla fine, ricorderò sempre i suoi occhi veri e puri». Così Martina Arduino, danzatrice nata nel 1996, richiama i momenti condivisi con Carla Fracci durante le masterclass che la grande étoile ha offerto, lo scorso gennaio, al Corpo di Ballo del Teatro alla Scala per preparare Giselle. Quel capolavoro romantico danzato da Fracci in tutto il mondo e interpretato in diverse versioni dal 1958 al 1990, Arduino aveva potuto vederlo solo in video. Nominata prima ballerina, stava preparando il debutto in coppia con Claudio Coviello per la trasmissione in streaming con il teatro chiuso al pubblico, quando il direttore del Ballo Manuel Legris ha reso possibile i preziosi incontri. Tuttora accessibili sul canale youtube del Teatro alla Scala, vediamo Carla Fracci partecipare alle prove con vitalità e trasporto, la sua presenza magnetica è lì a consigliare, a mostrare con il proprio corpo, a farsi emozionare da quel ruolo così tante volte vissuto: «Non aver paura di perdere l’equilibrio, sii meno studiata» le sentiamo pronunciare, una frase che potrebbe essere d’insegnamento non solo nella danza ma per la vita tutta. In un’ideale passaggio di testimone tra la Giselle del passato e quella di oggi, abbiamo chiesto a Martina Arduino un ricordo di Carla Fracci e quale potrebbe essere il suo lascito per le generazioni future.

Cosa hai provato alla notizia di questa scomparsa?
Ho subito ripensato ai momenti trascorsi insieme durante le masterclass che ci ha offerto a gennaio per preparare Giselle. Stavo lavorando al mio debutto in quel ruolo così importante, l’avevo sognato sin da piccola e ho avuto l’occasione di lavorare con lei, la Giselle per eccellenza. È stata un’esperienza che ricorderò per sempre. Rivedendo Carla Fracci in sala mi ha colpito molto scoprirla identica, con gli stessi occhi e le stesse espressioni di quando aveva interpretato quel personaggio molti anni prima, perché in quel momento, davanti a noi, lei era Giselle.

Cosa vi ha trasmesso Carla Fracci durante i vostri incontri?
Innanzitutto l’idea e la qualità da infondere nei movimenti, pensando sempre all’intenzione e al senso dei gesti. Lei ci diceva spesso di essere più «veri», cosa non sempre facile ma raggiungibile concentrandoci su ciò che dovevamo comunicare danzando. In questo modo ogni cosa sarebbe risultata chiara e comprensibile anche al pubblico. Inoltre, teneva molto alla cura dei dettagli: le camminate o le espressioni degli occhi erano importanti tanto quanto un passo tecnico. Non avevo mai avuto occasione di entrare in contatto con lei così da vicino, l’avevo sempre e solo ammirata da lontano. L’ho trovata molto dolce e generosa, se non riusciva subito a trasmetterci quello che voleva cercava di farcelo vedere lei stessa, con le espressioni oltre che con le parole.

Quali sono gli insegnamenti che trai dalla sua figura?
Sin da piccola sono stata molto attratta dalla sua eleganza, dalla sua classe, dalla disciplina che aveva anche semplicemente nel vestirsi. Nulla era lasciato al caso e sicuramente questo modo di porsi mi ha sempre affascinato, ha rappresentato per me un punto di riferimento a cui ispirarmi.

Qual è, secondo te, la sua eredità per il mondo della danza?
Credo che lasci in eredità il vero senso della danza: essere in scena come una grande artista ma esprimendo sempre il lato umano del personaggio. La danza in questo modo non è più fine a se stessa, non è solo un insieme di passi tecnici ma diventa qualcosa che va oltre: sono l’emozione e l’anima a generarla. Cercherò di portare anch’io nella mia carriera questi suoi importanti insegnamenti.