«Carrara era la capitale mondiale del marmo. Si veniva a vedere le cave, i laboratori, incontrare artisti e artigiani. Quello che era un fiorente distretto lapideo con questo approccio di estrattivismo sta diventando un distretto minerario: poca occupazione e forte impatto ambientale. Non c’è più niente, è una città dormitorio». Le parole di Ildo Fusani, ex assessore allo sviluppo economico del comune di Carrara tra il 1994 e il 1998, riassumono in poche parole l’impatto su un territorio e perché il 16 dicembre si terrà nel comune apuano una manifestazione nazionale contro l’estrattivismo, la pratica di estrarre risorse naturali da un luogo per poi lavorarle in blocco o per la maggiore in altri paesi. Quello di Carrara è oggi il comune con più cave autorizzate in Italia, ben 73. Il marmo qua è da sempre sinonimo di lavoro. «Negli anni ’20 del secolo scorso si è arrivati ad avere 20 mila lavoratori nelle cave – sottolinea Chiara Braucher, dottoranda in scienze sociali dell’università di Trento – La storia del lavoro sulle Apuane ha forgiato l’identità del territorio».

PARLARE DI CAVE A CARRARA È COME PARLARE di pizza a Napoli. Se ne può parlare ma badate a come lo dite. In giro per la città non mancherà chi vi ricorderà che già i romani le usavano o che Michelangelo ha reso immortali le sue opere grazie al marmo di Carrara. «Per anni è stato considerato il migliore al mondo – precisa Nico del collettivo Athamanta, tra gli organizzatori della manifestazione – ma l’estrazione era meno selvaggia. Nella storia dell’estrazione, c’è sempre stato il problema dello scarto di lavorazione di cui ci si sbarazzava gettandolo a valle producendo i ravaneti, dei grandi mucchi di detriti. Quindi si cercava di trovare il filone buono. Poi è esplosa l’industria del carbonato di calcio».

IL CARBONATO DI CALCIO, DI CUI IL MARMO di Carrara è composto quasi nella sua totalità, viene usato nell’industria di vari settori, dall’edilizia alla farmaceutica. Se prima buona parte del marmo estratto era usato per opere d’arte, oggi si trovano stime che l’utilizzo artistico sia meno dell’1 per cento del totale mentre circa l’80 per cento andrebbe all’industria del carbonato. Particolare il caso delle concessioni di chi il marmo lo estrae: un terzo fa parte dei beni estimati, considerate alla stregua di proprietà privata, e il resto degli agri marmiferi, di proprietà comunale. Su questi ultimi i sistemi informatici per la tracciabilità dei materiali lapidei estratti entreranno in vigore solo nei prossimi mesi.

TANTE LE MULTINAZIONALI PRESENTI TRA CUI, dal 2014, anche la Cpc Marble, società del Saudi Binladin group della famiglia di Osama Bin Laden. Questo perché il giro economico stimato sarebbe importante, c’è chi dice miliardario. Il distretto l’anno scorso ha registrato, solo verso l’estero, un aumento delle vendite di 324 milioni di euro rispetto al 2021. I posti di lavoro invece sono diminuiti. «Tra il 2018 e il 2021 c’è stato un aumento del 30 per cento di escavato e 200 posti di lavoro in meno al monte dove ora sono circa 650 – afferma Elia Buffa dell’Usb di Carrara – mentre l’indotto conta circa 8 mila addetti».

NEL 2021 L’ESCAVATO COMPLESSIVO è stato di 3.137.933 tonnellate. Più di 200 torri di Pisa. Concessioni ed estrazioni portano un indotto al comune. Quest’anno, coi dati aggiornati a fine ottobre, circa 3 milioni e mezzo di euro dalle concessioni e 15 dai contributi di estrazione. Solo i primi però possono essere usati per qualsiasi settore. «I soldi derivanti dai contributi estrattivi – spiega la sindaca Serena Arrighi, eletta col centrosinistra – possono essere usati solo per investimenti connessi al settore lapideo. Io auspicherei invece la possibilità, e qui è la Regione che deve intervenire, di poter usare quei fondi anche per il sociale, la scuola e altri settori se vogliamo davvero vedere delle ricadute importanti sul territorio». Anche perché le casse comunali non se la passano bene: grava ancora la costruzione della Strada dei Marmi ultimata nel 2012 – costata circa 120 milioni di euro – per far cessare il passaggio dei mezzi pesanti dal centro città.

«LA SICUREZZA DEL LAVORO IN CAVA è migliorata molto negli ultimi anni», precisa Paolo Bruschi, presidente dell’Associazione Nazionale Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro di Carrara che conta circa 2 mila iscritti. Nonostante questo, stando ai dati Inail, tra il 2000 e il 2021 gli incidenti sul lavoro nel settore estrattivo sono stati 1.826 dando alla zona il triste primato regionale. Senza dimenticare i 12 morti tra il 2006 e il 2018, la provincia detiene il primato regionale anche per il tasso di disoccupazione pari all’8,9 per cento nel 2022. Di contro le bollette non sono basse: i cittadini della provincia pagano le tariffe dell’acqua più alte di tutta la Toscana con una media di 770 euro. Il motivo sarebbe da ricercarsi sempre nell’attività estrattiva.

«Su alle cave, venendo specificamente ai rifiuti, c’è tutto – diceva Aldo Giubilaro, ex procuratore di Massa Carrara in una commissione parlamentare di inchiesta del 2017 – Tranne gli omicidi volontari, ci sono forse delle violenze, c’è ogni cosa, quindi anche il problema dei rifiuti, in questo caso direi particolarmente grave e delicato. Si pensa solo alla marmettola che crea dei danni e dei guasti infiniti, enormi. Non solo viene giù l’inquinamento delle acque, dei corsi, quando piove. Arpat è andata laggiù a fare analisi e accertamenti: il corso d’acqua non è acqua, ma latte, perché c’è la marmettola, il residuo della lavorazione del marmo, il fatto che si tagli il marmo, che provoca questo tipo di risultato. Si inquina, così, ogni cosa. Non per nulla, per esempio, a Carrara il costo dell’acqua potabile è, credo, cinque volte più del normale».

LA MARMETTOLA POTREBBE ESSERE una delle cause delle alluvioni del 2003, 2012 e 2014 che hanno distrutto case e strade. «Si tratta di polvere di marmo che si lega con gli idrocarburi dei macchinari durante il taglio – spiega Alessia Nannoni, ricercatrice dell’Università di Firenze – e poi disperdendosi, finisce nelle sorgenti. Rende le acque non potabili e può depositarsi nel fiume, coprendo la vegetazione e impermeabilizzandone il letto, aumentando la velocità di portata delle acque». Dimostrare chi inquina il fiume Frigido – che nasce nel paese di Forno dove l’anno scorso l’acqua è uscita per un periodo color latte dai rubinetti e non era potabile – è difficile. «Dovremmo dimostrare che a inquinare il corso d’acqua è la marmettola prodotta da una specifica cava – sottolineava nella stessa commissione del 2017 Alessia Iacopini, ex sostituto procuratore di Massa Carrara oggi a Prato – Ovviamente, i princìpi in materia di responsabilità penale questo ci impongono, ma è praticamente impossibile».

TANTE CAVE SONO ALL’INTERNO DEL PARCO delle Alpi Apuane. «Le guardie del parco sono solo 4 e dovrebbero controllare decine di cave – osserva Manuel Micheli dell’associazione di volontariato Apuane Libere – ma già controllarne una è non è semplice. Noi aiutiamo facendo monitoraggi, sopralluoghi, verifichiamo i perimetri, eventuali abusi, smaltimenti illegali e nel caso di irregolarità denunciamo. E succede spesso». Anche fare trekking può essere un problema visto che a causa dell’attività di cava, tanti sentieri Cai sono chiusi o interrotti. L’impatto delle cave, tocca qualsiasi settore.

«Sono figlio di un cavatore – commenta Alberto Grossi, referente apuano del Gruppo d’Intervento Giuridico – e mi chiedo: è così importante il marmo da chiudere naso, bocca, orecchie, occhi? Penso di no. E vi faccio una domanda: quanto vale una montagna? Il comune prende circa 4,75 euro per tonnellata estratta. Ne vengono estratte 5 milioni di tonnellate l’anno. Quattro euro per ogni tonnellata di montagna che viene giù, vi sembra un prezzo coerente? Abbiamo danni economici e ambientali per permettere al marmo di essere competitivo sui mercati. Il marmo qua non è solo una questione ambientale o economica. È una questione sociale».

 

*Le foto sono del fotografo freelance toscano Misanthropicture Photography che ha seguito e documentato questo fenomeno nel progetto “Mutant Mountains”