«Viviamo in un momento di transizione e non sappiamo come andrà domani», commenta il commissario Kostas Charitos in un passo dell’undicesimo romanzo della serie (cui vanno aggiunti due racconti brevi) cominciata ventitré anni fa con Ultime della notte. È arrivato però il momento di tirare somme, anche se provvisorie. Il suo capo Nikolas Ghikas va in pensione e Charitos è chiamato a ricoprirne il ruolo, in prova. Inoltre la figlia Caterina e il genero Fanis stanno per dargli un nipote. Infine, la crisi dell’economia greca sembra archiviata (Atene strabocca di griglierie, adesso) e il commissario e sua moglie Adriana si sono concessi il lusso di una vacanza nel natìo Epiro.
L’inizio del romanzo L’università del crimine (La nave di Teseo, traduzione di Andrea Di Gregorio, pp. 333, €18,00) ha un ritmo bonario e quasi sonnacchioso, adatto a chi è soddisfatto di sé, tra nuove amicizie strette nel relax epirota (tre anziane signore, ribattezzate le Tre Grazie, in omaggio ironico al mito antico) e situazione sotto controllo in commissariato. L’ormai consumata tecnica dell’autore, Petros Markaris, classe 1937, non consente al suo personaggio di sonnecchiare troppo. Anzi, l’inizio in tono minore del romanzo, con i coniugi Charitos in vacanza, le tre anziane Charites, cioè Grazie (che, per continuare sul filo della paronomasia, si chiamano Arghirò, Calliope e Tasia, evocando i nomi esiodei di Aglaia, Eufrosine e Talia), e tre professori universitari tedeschi che si ritemprano con voli in tuta alare giù dai monti dell’Epiro, si rivelerà perfettamente integrato nella trama del poliziesco, incentrato sull’assassinio in serie di tre professori dell’Università di Atene passati temporaneamente alla politica.
Sociologia e urbanistica
A parte La balia, ambientato a Istanbul, l’opera omnia di Charitos può essere letta come un’analisi urbanistica e sociologica della Atene contemporanea, còlta nel suo sviluppo dal 1995 a oggi con aggiornamenti biennali: ne dà un attento e appassionato resoconto Patrizio Nissirio in Atene, cannella e cemento armato. Percorsi e riflessioni con Màrkaris e gli altri di (Giulio Perrone editore, 2017). Con L’università del crimine la focalizzazione sembra essersi spostata però dall’urbanistica alla letteratura e alla storia, mantenendo ovviamente immutata l’attenzione alla sociologia. I professori uccisi prestati alla politica insegnavano materie umanistiche e Charitos deve capire se gli assassini sono terroristi, o, come gli suggerisce il docente emerito Sefèroglou, persone in qualche modo legate all’Università di un tempo, quando «i professori non erano semplicemente ‘universitari’, ma insegnanti, studiosi».
Uno dei tre, Aris Archontidis, era esperto dei poeti dell’età ionica e in particolare di Dionìsios Solomòs, nato nell’isola di Zante vent’anni dopo Ugo Foscolo, che a Foscolo dedicò un sonetto italiano in mortem. Archontidis, come rivela la sua ex studentessa e amante Pavlina Menekidi, apprezzava il poeta Solomòs, ma disprezzava l’uomo; tuttavia ne era una sorta di copia. Anche lui aveva lasciato la Grecia da giovane per andare a studiare in Italia e finiva sempre per mettere la poesia al secondo posto, preferendo rievocare il suo passato giovanile dentro Lotta Continua. Benché nel romanzo si trovi una pagina in cui viene tratteggiata con simpatia la figura di Adriano Sofri, intellettuale «arrestato per omicidio grazie a una testimonianza falsa» e membro di un gruppo niente affatto terroristico («in confronto alle Brigate Rosse, Lotta Continua era una specie di ONG»), l’opinione dell’ex studentessa sul suo mentore è netta e impietosa: «Aris era un eccellente studioso, ma un politologo insopportabile». La colpa di Archontidis, come quella degli altri due professori (un giurista e un economista), è dunque quella di aver sottovalutato la prospettiva civile dello studio umanistico per dedicarsi a una più lucrativa attività di governo, sicuri che, al termine del mandato, avrebbero riavuto quelle cattedre che erano per loro solo una sinecura e invece per la Grecia un aspetto essenziale della propria Storia e del proprio futuro. Non detto nel testo, ma intuibile: Archontidis sarà passato dalla sinistra extraparlamentare all’accettazione dei diktat della «trojka». Si disegna insomma il classico profilo dell’assassino che si sente giustiziere.
Conclusa la «Trilogia della crisi» (composta da quattro romanzi), Markaris si concentra sulla non meno grave crisi culturale. La prospettiva è quella di un ottantenne. Esempio: l’obeso professor Rapsanis che si avvicina alla politica attirato dalle lusinghe di una «Lisistrata» su Facebook, con cui dialoga presentandosi come «Stan» (Laurel; mentre tutti lo chiamano per la sua grassezza Ollio) ha qualcosa di macchiettistico e Charitos sembra essere a disagio con le nuove tecnologie ancora più del suo autore. Ma su tutto il romanzo aleggia la prospettiva dei pensionati.
L’anticipatore Della Mea
Qui però vi è una novità epocale. I pensionati sono visti come il nuovo soggetto «resistente» in una società arresa (un anticipatore del tema fu Ivan Della Mea col suo romanzo del 1997 Sveglia sul buio), coloro che progettano il futuro perché hanno un passato degno di memoria. È giusto perciò che Caterina e Fanis vogliano chiamare il loro bambino non «come il nonno», ma Lambros, come Lambros Zisis, il vecchio comunista che da Ultime della notte in poi si è andato sempre più riconciliando col poliziotto Charitos (che negli anni settanta era un ingranaggio del regime dei colonnelli nelle camere di tortura di via Bouboulinas), fino a diventarne il migliore amico, la guida pratica attraverso gli anni della crisi dal 2009, il modello di comportamento per Caterina (avvocato dei poveri) e un uomo fedele al suo passato, ma sempre più saggio e comprensivo.