Si ingarbuglia ancora la matassa della sinistra romana, moderata e non, in vista delle amministrative di giugno.
Ieri, con una lettera a Repubblica, l’ex sindaco Ignazio Marino ha risposto a Roberto Giachetti, candidato Pd che, alla ricerca ormai disperata di uno sfidante alle primarie – non si trova neanche a pagarlo – lo aveva invitato a misurarsi nei gazebo. La risposta è picche. Non parteciperà alle primarie del Pd che pure restano «uno straordinario strumento di partecipazione e di democrazia» perché, spiega, «se si calpesta la scelta dei cittadini, come è successo a Roma, si svuota il significato stesso di quelle consultazioni». L’ex sindaco ce l’ha con Renzi ’colpevole’ di non rendersi conto che le sue «interferenze» sulla città hanno reso la consultazione dei cittadini «un rottame inutilizzabile». Non ci sta (più): «Molti in queste settimane mi hanno chiesto cosa farò io. Posso solo dire cosa non farò, e cioè: non parteciperò alle primarie del Partito Democratico».

Dopo tanti tira e molla, l’ex sindaco chiude dunque definitivamente il suo capitolo sulla candidatura dentro il partito. E con questo anche la possibilità di attirare alle primarie, in qualche modo, la sinistra arrabbiata con Renzi e con il Pd della Capitale.

Ma, al tempo stesso l’ex sindaco apre un altro capitolo, quello della sua candidatura ’fuori’ dal Pd. Tutta un’altra storia, che rischia non solo di dare la mazzata definitiva alle già non moltissime possibilità dei dem romani di arrivare al ballottaggio. Ma anche di scombinare le carte nella sinistra-sinistra, l’area da cui da più di un mese l’ex pd Stefano Fassina conduce la sua campagna elettorale battendo a tappeto la città. Domenica, al centro sociale Brancaleone, (a via Levanna) farà la sua prima festa di raccolta fondi.
E però resta il fatto che la presenza di Ignazio Marino nella competizione, considerato da Sel «comunque un interlocutore» come ripete spesso il segretario romano Paolo Cento, rischierebbe di portarsi via una quota di elettorato di sinistra: quota piccola o grande, dipende dai diversi sondaggi a cui si dà credito.

E non c’è solo Marino tentato dall’idea di una corsa per il Campidoglio. Da qualche settimana circola anche un nome prestigioso, quello di Massimo Bray, ministro della cultura del governo Letta. Leccese, deputato, nel marzo scorso si è dimesso da Montecitorio per l’incarico di direttore generale dell’Istituto della Enciclopedia italiana. Già direttore della rivista Italianieuropei, è uno dei pochi rimasti vicini a Massimo D’Alema nelll’inverno ormai inoltrato del suo antirenzismo. C’è chi giura che Bray e D’Alema hanno parlato in questi giorni proprio con Ignazio Marino. Che del resto a suo tempo era stato portato alla politica (e al senato) proprio dall’ex fondatore di Red. L’ex ministro fin qui ha partecipato alle iniziative di Fassina. Ma chi ci ha parlato l’ha trovato disponibile a «impegnarsi per Roma». Al punto di tentare la corsa per il Campidoglio, una delle mete meno ambite di questa stagione politica, almeno a sinistra?
Probabilmente lo si capirà dopo le primarie del Pd, il 6 marzo. Sempreché i dem romani riescano a trovare un volontario disponibile a sfidare Giachetti, almeno per dare una parvenza di regolari le votazioni.

Oggi al Teatro Brancaccio si riuniranno gli amministratori municipali del Pd. Assenti quelli di Sel, che hanno preso malissimo il fatto che il maggior sponsor delle alleanze a sinistra, il presidente Nicola Zingaretti, si è subito schierato con Giachetti trasformando in suicidio il loro appello a Vendola di restare nell’alleanza. Le possibilità di ricucire a sinistra ormai sono pari a zero, come ha lasciato intendere Stefano Fassina, e come invece ha detto Cento: «A Roma non ci sono le condizioni per partecipare alle primarie perché la coalizione è finita da mesi. Nei prossimi giorni verificheremo con il Pd se esiste la possibilità di un confronto nel merito dei problemi della città». L’alleanza, archiviata a livello nazionale con l’approvazione dell’Italicum, ormai si è dissolta quasi ovunque, tranne Milano, Cagliari e Trieste.

Ieri Renzi, alla direzione del Pd, ha scaricato tutta la colpa sulla sinistra, che si appresta alla battaglia per il no al referendum costituzionale con Berlusconi, la Lega e i 5 stelle. Lo sfottò è godibile: «Per la prima volta nella storia, Berlusconi e Magistratura democratica staranno insieme, è meraviglioso, da comprare i popcorn».
Gli unici a non capire che è tardi per le petizioni di principio restano nel Pd, coté minoranza. «Spero che nessuno condivida l’idea di Alfano del referendum come spartiacque di future alleanze politiche», ha replicato accoratamente Gianni Cuperlo. «Vedo con allarme che il perimetro del centrosinistra si sta restringendo. La lacerazione del centrosinistra può modificare in modo radicale le radici del progetto del Pd, con una strategia che mai nessuno ha discusso», «la maggioranza del partito si assume la responsabilità di uno scarto che può squassare il Pd senza peraltro avere un mandato a farlo». Ma è tutto già successo.