A fronte del persistente ritorno d’interesse per forme e qualità del nostro esser parte e in relazione con la natura nonché per il ruolo di mediazione che in quest’ambito il giardino ha da sempre svolto, oggi, con particolare efficacia inventiva, torna utile la proposta del ponderoso volume, oltre le mode, dove una specialista come Mariella Zoppi, pur non discostandosi dal tradizionale impianto delle storie di giardini e dalla sua precedente sintesi, riprende e riordina questa vicenda come prisma di lettura, nelle sue molte interrelazioni, di una universale storia culturale: Giardini L’arte della natura da Babilonia all’ecologia urbana (Carocci, pp. 445, € 35,00).

Per il tramite dell’analisi di realizzazioni e progetti emblematici – particolarmente interessante al riguardo il racconto dei secoli più recenti, per quanto ci si arresti sulla soglia di un contemporaneo davvero ricco di variabili da indagare –, il volume si sofferma in puntuali ricostruzioni documentarie di direttrici, snodi, sentieri interrotti. Con la scrittura godibile di chi soprattutto intesse relazioni evidenziando filiazioni, analogie e concause, incrocia, per ambiti geografici ed egemonie culturali, estetiche e verticalità politico-istituzionali con tematiche sovraordinate, per come in forme diverse si declinano nei diversi contesti.

Così, per dire, è nella congerie dei dibattiti di inizio Novecento sul tema della casa e della città che si assiste al ripensamento del rapporto fra abitazione e giardino che figura da allora come componente estesa e unificante dell’intero sistema abitativo. Cui seguiranno nei paesi del nord Europa alcune importanti esperienze urbanistiche e paesaggistiche ad anticipare l’esperienza scandinava del funzionalismo del parco come luogo d’incontro per tutti, con interventi dalla forte valenza sociale ed educativa.

Mentre, ben altrimenti, il rapporto tra giardino e avanguardie, specialmente il cubismo, dall’Esposizione universale di Parigi del 1925 segnala un atteggiamento di rifiuto dell’imitazione della natura, un fenomeno come il fascino per il giardino Mediterraneo vien seguito nelle sue molteplici declinazioni. Dalla passione botanica dei giardini di acclimatazione, alle rivisitazioni rinascimentali in singolare connubio tra stile vittoriano e giardino all’italiana. Ma anche sul filo del recupero di un Antico fuori dal tempo con il ridisegno del sistema dei tracciati di accesso al Partenone del greco Pikionis, o, ancora, invece, nel quadro delle nostalgie della lettura fascista di un Giardino italiano esaltato e disciplinato, nella grande mostra fiorentina del 1931.

Se poi, dalla seconda metà dell’Ottocento si afferma il tema della rilevanza della presenza femminile nella storia del giardino, questo si intreccia con quello della formazione professionale. Con l’istituzione a New York nel 1899 della American Society of Landscape Architects, e Beatrix Farrand unica donna tra i diciannove fondatori, si afferma una scuola paesaggistica che propugna una forte continuità fra interno ed esterno, che si estende alle diverse scale. Un modo di operare dell’architettura del paesaggio come risposta a un’esigenza sociale nel segno del miglioramento degli ambienti di vita.

Così, dall’ideale di un’arte di progettare la natura, emblematica nel giardino paesaggistico inglese, si arriverà a porsi nel XXI secolo il tema della cura dei luoghi. Assumerne in proiezione una presenza diffusa, dove ogni segmento di verde si pone come tessera di un mosaico ospite di interazioni complementari, impone di ripensare l’idea stessa di giardino, oltre il recinto.

Giardino, che si fa sperimentazione continua volta a soluzioni a problematiche condivise, dove, oltre tipologie e stilemi, conta piuttosto tradurre aspirazioni verso nuovi modelli dell’abitare. In una generale riqualificazione ecologica, presupposto progettuale di un’urbanità imperniata sullo spazio pubblico.