Nick Broomfield non ha bisogno di presentazioni. La sua fama di regista sempre a ridosso degli aspetti più scabrosi della pop culture – come una specie di Hunter S. Thompson dell’entertainment – lo ha portato negli anni a dirigere film su figure complesse e controverse come Kurt Cobain (Kurt & Courtney), film per il quale gli sono stati rifiutati i diritti musicali dei Nirvana, o Whitney Houston in Whitney: Can I Be Me. Affascinato e attento all’aspetto legato alla cronaca nera della vita delle personalità dello showbiz, dirige Biggie & Tupac sulla vita dei rapper Notorious BIG e Tupac Shakur, entrambi uccisi all’apice del loro successo, senza disdegnare personaggi problematici come l’ultrareazionaria Sarah Palin nel film Sarah Palin: You Betcha o Heidi Fleiss (la deus ex machina di uno scandalo a base di star del cinema e prostitute) in Heidi Fleiss: Hollywood Madame.
Broomfield ha sempre forzato i limiti del documentario, soprattutto nei suoi lavori più strettamente legati a delle inchieste. Ovviamente il sospetto di un certo grado di cinismo e opportunismo non ha mai abbandonato il suo cinema, ma queste zone d’ombra e di ambiguità fanno inevitabilmente parte del suo lavoro.

Marianne & Leonard – Parole d’amore, l’ultimo lavoro di Broomfield in ordine di tempo, pur senza distaccarsi dalla classica alternanza del rockumentary fatta di voce fuori campo, materiali d’archivio e testimonianze registrate frontalmente (le famigerate talking heads), vede il regista britannico evocare una storia nella quale si trova a interpretare un piccolo ruolo di secondo piano.

IL FILM ripercorre la storia d’amore, lunga quasi una vita, fra il cantautore canadese Leonard Cohen e la norvegese Marianne Ihlen cui è ispirata, fra le altre cose, la canzone So Long, Marianne che compare nell’album d’esordio Songs of Leonard Cohen. La presenza duratura della donna è avvertibile durante tutto l’arco della carriera del musicista, anche molto dopo la fine della loro complessa e a tratti difficile storia d’amore. Basti ricordare che il brano Moving On, compreso nell’album postumo Thanks for the Dance, è l’estremo omaggio a Marianne.

LEONARD COHEN e Marianne si conoscono in Grecia, sull’isola di Hydra. Cohen, in uno dei passaggi più emozionanti del film, rievoca il suo «appetito» per le donne e si dichiara fortunato di avere vissuto negli anni Sessanta e Settanta quando questa sua curiosità era non solo condivisa e accettata socialmente ma anche incoraggiata. Le sue parole scorrono fuori campo sulle immagini di corpi nudi di donne e uomini ai bordi di un lago. Alcuni fanno l’amore, qualcuno nuota, altri osservano, molti ridono. Sull’isola di Hydra, l’equivalente di quel che doveva essere Positano per Philippe Garrel e Nico, capita anche Broomfield che fa amicizia con Marianne e conserva con lei un contatto per tutta la vita.

Il film segue la carriera del musicista nei suoi momenti difficili (esemplare il racconto del festival dell’isola di Wight di Ron Cornelius e l’uso disinvolto di un potente allucinogeno di Cohen e della sua band), la sua lotta con la depressione passando per il momento in cui nella sua vita subentra Susanne creando così una polarità con Marianne (senza dimenticare come il produttore Jon Lissauer viene privato dei diritti di Hallelujah, la canzone più famosa di Cohen che vanta innumerevoli cover, fra cui quella celeberrima di Jeff Buckley).

Fra gli intervistati, Aviva Layton, moglie del poeta Irving, è la persona che maggiormente resiste al desiderio di Broomfield di angelicare Marianne e beatificare l’irrequietezza di Cohen. «Un poeta non può essere un buon marito – dichiara con buon senso – ma è proprio l’uomo che non possono avere che le donne desiderano sposare».

PUR NON convincendo mai del tutto, il film assomiglia più a un biopic montato velocemente per sfruttare al meglio l’affetto del pubblico nei confronti del musicista, riserva aneddoti succosi per gli appassionati di musica (il ricordo agghiacciante di Phil Spector, la confessione che in fondo Cohen vuole ancora «piuttosto bene» alla manager che gli rubato cinque milioni di dollari) ed è impossibile non commuoversi alla fine (anche se il sospetto della manipolazione emotiva nei confronti dello spettatore è fortissima, ma siamo in un film di Broomfield…) quando Marianne sul letto di morte ascolta il messaggio di Leonard che le assicura che lui la sta per raggiungere.
Tre mesi dopo Leonard Cohen muore.