Milano, via San Marco angolo via Montebello 7, una casa che risale a inizio 800, prima casa operaia costruita da una cooperativa a Milano. E lì, proprio in casa, nasce Mariangela Melato il 19 settembre 1941. Intorno a quella zona Mariangela trova tutti i suoi riferimenti. Lì vicino, infatti, andando verso il centro si arriva in via Brera con il mitico bar Jamaica, all’Accademia di Brera (che peraltro lei non ha mai frequentato), e ancora al teatro dei Filodrammatici, proprio a ridosso della Scala, e camminando ancora poche decine di metri si arriva alla Rinascente, affacciata su piazza del Duomo. Sono tutti luoghi che formano la «ribelle» Mariangela, figlia di Adolfo nato a Trieste il cui cognome era Hönig, miele, italianizzato in Melato, prima traduttore dal tedesco, poi vigile urbano, un «ghisa». Mamma Lina è invece milanesissima, sarta a domicilio, grande amante del ballo e donna autoritaria e volitiva, in casa è lei a «portare i pantaloni». L’infanzia di Mariangela è tristissima, devastata da una malattia che la perseguita, una crosta lattea cronicizzata che la costringe a usare bende che le coprono faccia, braccia, gambe. Mamma Lina la vive come un peso. Emarginata dai coetanei ha un approccio scolastico pessimo e dopo un primo risultato deludente nella scuola pubblica va alla Casa del sole, al Trotter, una scuola situata in un parco, per bambini con problemi di salute.

E lì Mariangela scopre il suo talento. Si ferma oltre l’orario per seguire un corso di danza, a una recita scolastica di Goldoni, dimostra che sa intrattenere, chiave decisiva per uscire dall’emarginazione in cui è stata relegata per anni. E poco dopo, curata, guarisce anche dalla malattia e scopre finalmente la vita. Finisce la scuola dell’obbligo e da quel momento non la tiene più nessuno, tantomeno mamma. Frequenta una scuola d’arte, gratuita, al Castello, lavora alla Rinascente come commessa, a un concorso di idee dispone la merce con gusto al punto da essere notata e cooptata dal sovrintendente dei vetrinisti: Giorgio Armani. Frequenta il Jamaica, luogo deputato per gli artisti milanesi, lei si sente ignorante, ma è affascinata. Si iscrive anche all’ambìto e molto selettivo corso di recitazione dell’Accademia dei filodrammatici. Il corso è biennale, ma lei dopo il primo anno se ne va allo stabile di Bolzano al seguito di Fantasio Piccoli, dove fa tutti i lavoretti tipici del teatro, ma poco palco. Torna a Milano e decolla.

Milano è un fermento. Locali, cabaret, jazz, musica, editoria, arte, teatro, calcio, lei lavora con Franco Nebbia, Enrico Vaime, con Dario Fo e Franca Rame, che le consiglia il medico e la aiuta a «limare» la gobba del naso. Occhioni verdi luminosissimi, pelle freschissima (diceva che per la malattia infantile, la sua pelle era più giovane di lei), eleganza innata, temperamento volitivo e disciplina teutonica, unite a una voce unica, arrochita dalle nebbie, dallo smog milanese e dalle sigarette, la nuova Mariangela non è più neppure il lontano parente del brutto anatroccolo che credeva di essere. E in piazza Duomo con l’Orlando furioso di Ronconi diventa star teatrale, inanellando poi un’infinità di successi sul palcoscenico. Ma lei vuole anche il cinema. Si trasferisce a Roma, all’inizio sono particine, con Avati si spaccia per un’altra, fa qualche apparizione ma la sua esuberanza teatrale fatica a trovare spazio su grande schermo. Poi arrivano a scoprirla.

Una parte discreta in Per grazia ricevuta di e con Nino Manfredi, il trionfo di La classe operaia va in paradiso di Elio Petri accanto a Gian Maria Volontè (dove può sfoggiare il suo accento milanese), così come in Mimì metallurgico ferito nell’onore, cui seguiranno a ruota Film d’amore e d’anarchia e Travolti da un insolito destino… con la sodale Lina Wertmüller. Mariangela è diventata star cinematografica, internazionale, interpreta anche un personaggio famigliare, un vigile, in La poliziotta di Steno. Piovono globi d’oro, nastri d’argento, David di Donatello. In pochi anni lavora con Arrabal, Corbucci, Ferrara, Bevilacqua (che non ama), Monicelli, Salce, Citti, Comencini, Pozzetto (che aveva conosciuto da bambina sfollata), Pietrangeli, Brusati (con cui va anche alla serata degli Oscar per la candidatura di Dimenticare Venezia), Bertolucci (Giuseppe), Arbore (con cui si era già lasciata), si affaccia al cinema internazionale con una parte in Flash Gordon (dove frusta Ornella Muti) poi Hollywood con Jeans dagli occhi rosa (titolo orrendo, film modesto).

Ma la mecca non fa per lei, versatile e geniale, capace di interpretare donne snob e popolane, di calarsi nella commedia o nel dramma, sempre con un approccio da prima della classe e sfoderando un talento spesso più grande dei film che interpreta. Forse per questo poi ha privilegiato teatro e tv su cui aveva maggior controllo. Poco distante dalla sua casa d’origine c’era il cinema Fossati, in corso Garibaldi, dove col babbo aveva scoperto per la prima volta il fascino del cinema. Ora in quell’edificio si entra dalla parte opposta, è stato ristrutturato e si chiama Piccolo Teatro Studio Melato. Mariangela è tornata a casa.