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Mariangela Melato, teatro cinema e musicaSono passati dieci anni da quando se ne è andata (a gennaio 2013), e poco è stata ricordata. Ma nonostante questo, resta grandiosa, nel cuore degli spettatori e negli occhi di chi la vedeva, combattuta da sempre tra teatro e cinema, e negli ultimi tempi dalla tremenda malattia, che la faceva eclissare per qualche tempo per cure micidiali, per riapparire d’improvviso più bella e fascinosa di prima, in giro per Roma, in palcoscenico, o la sera in platea come spettatrice. Fino all’ultimo spiritosa e pungente. E sempre bellissima.
Mariangela Melato è un caso quasi unico nello spettacolo italiano, per esser stata protagonista e motore di spettacoli importanti, che hanno fatto letteralmente storia, e di film popolarissimi, campioni al botteghino (come la trilogia con Lina Wertmuller, ma non solo), ma gli uni e gli altri affrontati col medesimo impegno, lo stesso volto straordinario e mutevole, la stessa generosa fatica di ruoli spesso al limite del massacro fisico. Intelligente, intuitiva, spiritosa fino alla crudeltà, con se stessa prima che con gli altri. Una creatura alla cui simpatia era impossibile resistere.
Attratta dallo spettacolo, era stata giovanissima a scuola di recitazione da Esperia Sperani, una attrice milanese, docente ai Filodrammatici e in scena col primo Strehler, ma assai nota anche per le caratterizzazioni che portava settimanalmente in trasmissioni della radio forse ancora Eiar. Ne rubò forse in qualche modo il mestiere, per trasformarlo nella recitazione del futuro. Il sacro fuoco d’attrice bruciava dentro il cuore di Mariangela: un fisico agile e duttile (poi mostrato e applaudito in qualche sabato sera tv, con un clamoroso arrivo letteralmente chiusa dentro una valigia di formato regolamentare), una voce dai toni bassi capace di elevarsi a cantare su qualsiasi ritmo. Dal grande al piccolo schermo, ma il teatro la vera passione. I lavori con Ronconi, affrontando testi sia classici che popolari
Quindi molta gavetta nei teatri milanesi di diversa importanza, ma il suo battesimo del fuoco avvenne con Luca Ronconi, nel 1969. Debutto a Spoleto per un titolo divenuto mitico, l’Orlando furioso di Ariosto ritagliato da Sanguineti, che sovvertiva tradizioni millenarie nel rapporto tra parola e movimento, tra attori e pubblico, quest’ultimo sguinzagliato a scegliere quale episodio e personaggio (e interprete) seguire sui carrelli che si muovevano e vociavano in contemporanea. Probabilmente già a Spoleto, ma sicuramente a Milano e poi a Roma (prima al Palazzo delle esposizioni e poi addirittura nell’immenso Palasport di Pierluigi Nervi) era lei ad attrarre la maggior ressa di pubblico, e non solo maschile: peccaminosa e languida tentatrice come maga Olimpia, una trasparenza di pizzo sulla scollatura e una voce capace di suggestive, quasi inquietanti, variazioni. Anche se in quello stesso spettacolo non mancassero giovinette e signore di grandissimo fascino e talento, da Ottavia Piccolo a Anna Nogara a Edmonda Aldini.

CON RONCONI del resto quella collaborazione segnò l’inizio di un percorso straordinario, che non le avrebbe risparmiato fatiche e necessità di abnegazione assoluta, per tanti spettacoli talmente importanti da cambiare il corso del teatro, non solo italiano. Una grande amicizia la loro, destinata a crescere sempre più nel tempo. Tanto che il regista, quando arrivò a costituire finalmente un centro teatrale di formazione nel cuore dell’Umbria (il famoso «Santa Cristina», isolatissimo tra le montagne di Gubbio) la volle come «presidente» legale dell’organismo. E lei entusiasta, benché ormai star acclamata dello spettacolo nazionale, ma sempre pronta ad adeguarsi agli orari e alla precedenza dei giovanissimi allievi attori.
Sempre stata disciplinatissima sul lavoro Mariangela Melato, ma sempre «scatenata». Indimenticabile per chi la vide, una versione (che Ronconi per necessità, subito dopo l’Orlando, si era inventata tutta interpretata da donne anche per le parti maschili) della elisabettiana Tragedia del Vendicatore. Il testo era quasi sconosciuto ma affascinante, e culminava in un risolutivo duello, a colpi di spade di legno, tra il Vendicatore interpretato da Edmonda Aldini e Melato nel ruolo della Lussuria: tacchi alti, calze a rete, e pure disseminate di smagliature. Una visione indimenticabile, di vera perdizione!
Da allora molti ruoli di Mariangela per il suo maestro e vate teatrale sono stati segnati dall’eccesso e dalla iperbole fisica, anagrafica, quasi metafisica. Dopo la Cassandra in ascensore nell’immenso catafalco ligneo dell’Orestea, le sarebbe più tardi toccato fare, senza alcuna sdolcinatura, la bambina di neanche dieci anni in Quel che sapeva Maisie secondo Henry James. Quasi a voler recuperare e rilanciare l’età senza tempo di un altro ruolo protagonista indossato una decina d’anni prima: la signora di 337 anni centro e motore de Il caso Makropoulos di Karel Capek.
E non bastasse la questione d’età, ad altre stranezze avrebbe dato ancora corpo. Come protagonista di Amor nello specchio di Giovan Battista Andreini, le capitava di finire innamorata, allo specchio appunto, di un’altra creatura femminile, forse se stessa ma forse un’altra donna: un grande turbamento, che meditava e si accresceva camminando con disinvoltura su un pavimento di specchi di cui era stato lastricato corso Ercole d’Este a Ferrara, proprio davanti al Palazzo dei diamanti.

E ANCORA Andreini, il gran padre «ordinatore» della commedia dell’arte, la attendeva alla prova più impegnativa: sostenere un doppio ruolo in commedia, alternando grande fascino barocco con un alter ego mitologico che la vedeva trasformarsi tout court ne La Centaura! Che voleva dire recitare per più di metà della commedia inguainata alle spalle in un «prolungamento» equino che gravava implacabile sui suoi reni. Una fatica più che animalesca, quasi mostruosa. Lei si lamentava un po’ con gli amici più stretti, ma il suo senso teatrale del dovere le impose tutte le repliche dello spettacolo, per altro grazie a lei meraviglioso.
Non temeva la fatica fisica Mariangela Melato in scena: non doveva essere stata poco faticosa la parte di protagonista, sempre per Luca Ronconi regista, de Il lutto si addice ad Elettra, il fluviale remake con cui Eugene O’Neill aveva trasportato nel New England degli anni 30 del secolo scorso le tragedie eschilee sugli Atridi nell’antica Grecia. Lei però era talmente pronta alla sperimentazione, fisica e d’ogni altro genere, che Elio De Capitani e Ferdinando Bruni la chiamarono all’Elfo, nella sua Milano dove aveva iniziato con Dario Fo, Visconti e Strehler, per trasformarsi in transessuale barbuto nel Tango glaciale di Copi, in cui divinamente impazzava, insidiata da un guappo Toni Servillo. Irresistibile, e fortissima! Una sorta di «negativo» rispetto ad un’altra immagine di teatro leggero per antonomasia, quello della bella epoque: tra tanti spettacoli «seri», fu spettacolare e irresistibile protagonista anche di un classico del genere, La dame de Chez Maxim, agile e scattante nei travestimenti, gli equivoci e le battute di quel piccolo capolavoro di Georges Feydeau.

INSOMMA Mariangela Melato ha dato corpo a ogni possibile mitologia del teatro del ’900. Star acclamata e popolarissima grazie al cinema, non ha mai rinunciato a interrogarsi e misurarsi con le regole e le invenzioni più dure dello spettacolo, non si è mai «seduta» sulle sicurezze del successo. Ha amato la sfida e l’umiltà davanti alle prove più impegnative (anche propriamente fisiche oltre che intellettuali), con un rigore e una dedizione davvero rari. Per questo forse era amatissima dal pubblico come dai colleghi, che la stimavano e la amavano benché avrebbe potuto godere di uno status riconosciuto di vera diva. Invece se ne andava tranquilla girando per le viuzze antiche attorno ai Coronari, quando il fine settimana non si rifugiava a casa della sorella Anna «per giocare un po’ coi nipotini».