Una semplice coincidenza geografico-distributiva rende ancora più «fascinoso» e significativo assistere a uno spettacolo in una sala che si fregia del nome «Teatro comunale Laura Betti» (che qui era nata). Perché Boston Marriage (coproduzione di due teatri stabili, Palermo e Brescia) tra i diversi motivi di attrazione, ha innanzitutto quello di essere un «teatro d’attore», anzi, prepotentemente «d’attrice»: buona parte del suo fascino e del suo successo è dovuto alle sue tre irresistibili interpreti, ovvero Mariangela Granelli e Ludovica D’Auria, capitanate da una strepitosa, e sempre sorprendente, Maria Paiato, inesauribile creatrice di personaggi femminili ad alta intensità. Non minore merito va alla «scoperta» da parte di Giorgio Sangati del testo, al suo debutto in Italia, firmato del resto da un grande della scrittura teatrale contemporanea, David Mamet, qui tradotto da Masolino D’Amico.

La redazione consiglia:
Maria Paiato nel vulcanico mondo di Roberto BolañoLA VICENDA ha un’apparenza «semplice»: due signore e una fedele quanto apparentemente ingenuotta servitrice, in una lussuosa (quanto kitsch) casa borghese a cavallo tra otto e novecento. Hanno un curioso rapporto le due signore, amiche duellanti, che gradualmente rivelano una loro trascorsa intimità, come indica anche il titolo (che in America pare si usi per indicare un rapporto assai stretto tra due amiche, coabitanti in una casa «senza uomini»). La padrona di casa è appunto interpretata da Maria Paiato, avvolta in regali abiti tutti volants e luccicchii. L’attrice, unanimemente riconosciuta tra le migliori della nostra scena (non a caso Luca Ronconi l’aveva voluta protagonista femminile di quasi tutti i suoi ultimi spettacoli), qui si supera mostrando anche di divertirsi. I suoi gesti, le sue voci sono già grande spettacolo, parlano con grande forza allo spettatore di oggi, anche il più avvertito. Sembrano citare con affettuosa ironia pose e intonazioni di Bianca D’Origlia (indimenticata intestataria della mitica D’Origlia-Palmi, l’ultima compagnia «all’antica italiana», che fece scuola a geni come Carmelo Bene, Paolo Poli e la stessa Laura Betti), ma nello stesso tempo scopre, anche allo spettatore di oggi, strumenti e variazioni dell’arte del teatro, che nella sua versione «comica» può dare suggestioni non minori di quella «tragica». La caricata ironia e le citazioni di quella datata teatralità, risultano insomma, oltre che irresistibilmente comiche, rivelatrici di una drammatica condizione.
Le due amiche, di cui gradualmente si scoprono e intuiscono i segreti trascorsi, si fanno reciprocamente complici: l’una dell’aver sedotto un benestante signore che la mantiene negli agi, donandole perfino una preziosa collana (che si scoprirà aver sottratto alla propria moglie), l’altra di portare a compimento concreto il desiderio che la attrae verso una giovine fanciulla (a sua volta figlia del ricco fedifrago e della sua moglie «derubata» del monile). La cameriera, con la sua finta ingenuità, presta allo sviluppo del racconto tutta l’attrezzeria del romanzo d’appendice, con effetti irresistibili di assoluta comicità.

EPPURE quel racconto, volutamente datato per abiti e ambienti, ci racconta di noi, con le nostre illusioni e le nostre piccole furberie: ma, scoprendocene il percorso, può risultare un utile bagaglio per affrontarle ancora oggi. Grande merito di tutta l’operazione, oltre al racconto scritto da Mamet, va al regista Giorgio Sangati (anche lui uscito dalla scuola Ronconi) che orchestra con maestria questo teatro apparentemente d’altri tempi, che oltre a provocare irrefrenabili risate, lascia l’amaro in bocca alle inconfessabili fantasie (e gaffes, e strafalcioni comportamentali) di ognuno. Un congegno a orologeria di buon umore e pensieri, che quei personaggi, Maria Paiato in testa, ci aiutano a ridimensionare ridendone .